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Libertà della rete, considerazioni a margine
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di Elda Brogi*

Libertà della rete, considerazioni a margine

Internet, è sotto gli occhi di tutti, sta giocando un ruolo sempre più essenziale nella dialettica democratica, in Italia e all'estero. Quel “tutti” dell’articolo 21 Cost., oggi, è un po’ più vero; molto più vero di quando (come ci insegnano i Maestri) il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con alcuni mezzi di diffusione scarsi e costosi rischiava definitivamente di far diventare la libertà di “tutti” un potere di “pochi”.
Pur non essendo, nelle sue utilizzazioni più frequenti, né parificabile alla stampa, né alla televisione, Internet tuttavia risponde a regole giuridiche fondamentali: come è stato sottolineato nel dibattito di questi ultimi tempi, scatenato dalla costituzione di gruppi contro Berlusconi e pro Tartaglia su Facebook, e come testimoniato anche da accesi dibattiti accademici sul tema, alcuni principi costituzionali danno la base per qualificare giuridicamente ogni fenomeno della rete e trovare le regole applicabili ai casi concreti, come sempre è stato per ogni comportamento umano.
L’art. 21 Cost, sappiamo, tutela la libertà di manifestazione del pensiero con ogni mezzo di diffusione, salvo il limite del buon costume. Codice penale e applicazione giurisprudenziale fanno la loro parte nel definire quali comportamenti sono punibili e quindi comportano “limitazioni” all’art. 21 (es. limite dell’onore) alla luce di altri diritti costituzionalmente garantiti.
Su quali temi ci sarà ancora da discutere?
Il primo tema è quello del ruolo degli intermediari della rete: l'host di un sito è responsabile dei contenuti illeciti del sito “ospitato”? Il “gestore” di Google Video, ad esempio, è responsabile per le violazioni del diritto d’autore o, peggio, per il filmato del ragazzo affetto da sindrome di Down punzecchiato da alcuni stupidi bulletti? Ecco un caso concreto che si sta concludendo a Milano.
I dirigenti Google sono stati chiamati a rispondere per concorso in diffamazione e violazione della privacy. Già nel nostro ordinamento esistono norme di derivazione comunitaria che escludono - in via generale - la responsabilità degli intermediari della rete e condannare Google potrebbe significare venir meno al principio della responsabilità personale in materia penale.
A questo si lega la questione della cosiddetta “neutralità della rete”. Il tema è ormai entrato nel dibattito politico europeo e statunitense, meno in quello italiano. “Net neutrality” significa essenzialmente che coloro che gestiscono la rete si debbano astenere dal filtrare dati ed applicazioni che transitano sui loro network al fine di preferire altri flussi di dati o altre applicazioni.
Come ho già avuto modo di dire in un altro intervento, i fautori di questo orientamento paventano, in caso contrario, una Rete nella quale gli ISP (e possibili oligopoli nel mercato degli ISP) diventino progressivamente arbitri di cosa debba circolare nella Rete. I sostenitori di un ruolo non neutrale degli ISP, invece, affermano che il filtro dei contenuti apporterebbe un sensibile calo nelle violazioni della normativa sui diritti d'autore ed una maggiore capacità di banda per altri servizi. La Commissione europea, con la dichiarazione allegata al pacchetto Telecom del 2009, richiamandone le direttive, ritiene che sia della massima importanza conservare l’apertura e la neutralità di Internet.
Altra questione è quella attuale, sollevata anche da Articolo21, relativamente allo schema di decreto attuativo della direttiva che riforma la “tv senza frontiere” e alla individuazione di cosa, sul web, può essere “parificato” alla televisione. A parte l' inevitabile considerazione sul palese conflitto di interessi che inficia la credibilità di ogni provvedimento governativo sull'audiovisivo, anche se di derivazione comunitaria, condivido la perplessità di base sulla definizione di “servizi media audiovisivi” prospettata dal decreto laddove il testo dice che “rientrano nella predetta definizione i servizi, anche veicolati mediante siti internet, che comportano la fornitura o la messa a disposizione di immagini animate, sonore o non, nei quali il contenuto audiovisivo non abbia carattere meramente incidentale”. Una definizione ambigua, che andrebbe modificata per escludere, come si diceva sopra, quegli intermediari di rete che rientrano in altra disciplina ed evitare le ennesime ambiguità interpretative.

*www.teutas.it


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