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Articolo 21 - Editoriali
Riforme, via libera al «Silvierato». Ultima corsa per il voto finale
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di Luana Benini

da L'Unità

Via con le ultime bordate a smantellare la Costituzione repubblicana. Oggi la maggioranza porterà a casa la sua Costituzione costruita con i post-it, un pezzo a me e uno a te. Un «patchwork», come dice Ugo Intini, costruito sulle macerie dei pilastri delle istituzioni. Che solo il referendum potrà cancellare.
Ieri è stata la volta del «premierato assoluto», o meglio del «silvierato». Cinque articoli che delineano la figura del premier, i suoi rapporti con il Parlamento, i suoi poteri. Si entra, dice l??opposizione, in una forma confusa sul piano giuridico dove predominano governo e primo ministro. Un sistema privo di contrappesi, visto che il presidente della Repubblica è ridotto a un funzione notarile. Il governo non deve avere più la fiducia delle Camere. Il primo ministro «illustra» alla Camera il suo programma di governo. Può chiedere alla Camera di votare «con priorità» la fiducia su una proposta che gli sta particolarmente a cuore e se la sua maggioranza non è d??accordo nel concedergliela subentra il ricatto dello scioglimento. Il premier «determina» la politica del governo, non «mantiene» ma «garantisce» l??unità di indirizzo politico, «dirige» l??attività dei ministri. Anche il lessico è importante. C??è il paradosso della «sfiducia costruttiva» con cui la maggioranza uscita dalle elezioni può sfiduciare il primo ministro e chiedere al presidente della Repubblica di nominarne un altro indicato. In tal caso però, siccome tutti gli atti presidenziali devono essere controfirmati, chi controfirma la nomina? Lo sfiduciato? E c??è il vincolo della mozione di sfiducia firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera.

Il quadro, spiega Luciano Violante, disegna «lo svuotamento totale dei poteri di un Parlamento che non esiste più, e dove la maggioranza è alla mercé del premier che può decidere di scioglierlo quando gli pare». Il tutto coniugato con le norme sul «guazzabuglio» dell??iter legislativo, con un presidente della Repubblica al quale «si è tolta persino l??autorità di rappresentare l??unità nazionale». Anche Giorgio La Malfa giudica il risultato tanto indigesto da dissociarsi dalla maggioranza e annunciare un voto di astensione su tutta la legge.

E c??è un emendamento significativo dell??ultima ora: la candidatura alla carica di primo ministro avviene «mediante collegamento con i candidati ovvero con una o più liste di candidati». Significa che si rende possibile con legge ordinaria riformare in senso proporzionale la legge elettorale. ? una bandierina che ci ha piantato l??Udc. Secondo indiscrezioni la nuova legge elettorale proporzionale sarebbe già pronta (unica incertezza: una preferenza singola o tre preferenze?).
Due giorni fa l??Udc strillava sull??affossamento dell??articolo 24 della riforma da parte di An (quello che lasciava alcuni poteri esclusivi nelle mani del presidente della Repubblica, compreso quello di grazia). Ieri però strillava di meno. Volonté si augurava che fosse ripristinato dal Senato. Subito bacchettato dal ministro Calderoli secondo il quale il Senato non deve cambiare una sola riga. Come fare per ovviare a questo depotenziamento del capo dello Stato (che secondo il testo residuo, per ogni suo atto deve aspettare la proposta e poi la controfirma del governo)?

Ieri l??approssimazione ha toccato il suo apice. Tramontata l??ipotesi ventilata dopo il vertice notturno della Cdl di un nuovo emendamento («inammissibile» ha detto anche Casini reintegrare nel testo una previsione legislativa già silurata dall??aula), giudicato inconsistente «l??ordine del giorno» proposto da Berlusconi, per un po?? ha tenuto banco nel Transatlantico l??idea del ministro Calderoli di risolvere tutto in sede di «coordinamento formale del testo» (quello che fa l??ufficio tecnico rivedendo la correttezza della sintassi). Salvo che poi, nel comitato dei nove, tutto è stato escluso categoricamente. Così Calderoli ha ripiegato sulla possibilità che il relatore Bruno, al momento del voto finale, potesse dichiarare che per i poteri del presidente della Repubblica sarebbe valsa «la prassi della controfirma come atto solo formale». Ma quando mai, ha sbottato a ruota Bruno. E allora? Allora la modifica potrà essere fatta solo in Senato. Quando entrerà in vigore la riforma? Le norme transitorie prevedono che la devolution, ad esempio, entri in funzione subito (significa, spiega Violante che siccome le risorse saranno invece trasferite nel 2011 o nel 2016, la potranno praticare solo le regioni più forti).

Se il referendum fosse celebrato prima delle politiche del 2006 il grosso della riforma andrebbe in vigore nel 2011. Se il referendum cadesse nella prossima legislatura, andrebbe in vigore dal 2016. E questo alla fine potrebbe anche essere un incentivo per Berlusconi (che non vuole il referendum prima delle politiche) a far sì che il Senato apporti modifiche in modo da ritardare i tempi. Nelle norme transitorie c??è anche una bandierina di An frutto di un compromesso fra Fini e Calderoli: la tutela delle minoranze linguistiche, non solo quelle di Trento e Bolzano (come voleva An) ma quelle di tutte le province e le regioni autonome. «Ridicolo- spiega il ds Leoni - ribadire un principio già contenuto in almeno altri due articoli della Costituzione».

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