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Articolo 21 - Editoriali
Il regime come anestesia
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di Antonio Padellaro

da L'Unità

Il fatto che il direttore di un grande quotidiano venga pesantemente e ripetutamente minacciato dagli avvocati del presidente del Consiglio; il fatto che i cronisti di quel grande quotidiano vengano definiti dai suddetti legali «mele marce» perché scrivono sulle vicende del plurinquisito presidente del Consiglio; il fatto che pochi mesi dopo quello stesso direttore venga accompagnato al portone del grande quotidiano, salutato dalla manifesta soddisfazione del plurinquisito premier. Tutti questi fatti messi insieme avrebbero sicuramente suscitato una qualche apprezzabile reazione in un qualsiasi paese appena normale: a cominciare, per esempio, dal quel Botswana che ci precede, con altre 43 o 44 nazioni nella classifica che misura il grado di civilità e progresso sul pianeta. Forse, però, una spiegazione del perché lâ??Italia sia così tristemente scivolata alla casella 45 sta proprio nel fatto che in Italia, invece, non è successo assolutamente nulla; e che, anzi, la notizia della defenestrazione di quel direttore è stata giudicata una non notizia dalla quasi totalità degli altri organi di informazione, e dunque rapidamente trasferita in archivio. Ricordate «Alice nel paese delle Meraviglie»? «Se ognuno sâ??impicciasse dei fatti suoi», disse la Duchessa quasi ringhiando «il mondo girerebbe molto più svelto!».
Per fortuna câ??è sempre qualcuno che sâ??impiccia, e le tristi circostanze che hanno accompagnato le dimissioni di Ferruccio de Bortoli dalla direzione del â??Corriere della seraâ?, il 29 maggio del 2003, vengono ora riproposte nel libro «Regime» di Peter Gomez e Marco Travaglio. Regime è parola a cui siamo particolarmente affezionati perché è stata coniata su queste stesse pagine quando lâ??Italia di Silvio Berlusconi ha cominciato a prendere forma e contenuti. Abbiamo scritto regime quando Enzo Biagi è stato espulso dalla Rai, per aver permesso a Roberto Benigni di ridere sul futuro presidente del Consiglio. Lo scandaloso episodio avveniva nel programma â??Il fattoâ?, giudicato il migliore del secolo da una giuria Rai e cancellato anchâ??esso con un tratto di penna. Abbiamo scritto regime quando con il diktat ducesco dettato dalla Bulgaria, Berlusconi accusava di «uso criminoso della televisione pubblica» Biagi, Santoro e Luttazzi; o quando la censura ha tagliato dal video lo spettacolo di Sabina Guzzanti e il teatro di Paolo Rossi.
Abbiamo scritto regime quando a Massimo Fini scippano un programma perché, come gli spiega il direttore di RaiDue, Marano «câ??è una persona che ha fatto lo stronzo in modo vergognoso»: uno stronzo a cui, però, bisogna ubbidire per forza. Abbiamo scritto regime quando le dimissioni di de Bortoli ci sono apparse brutte, strane, preoccupanti, e non certo per mancanza di rispetto nei confronti del nuovo direttore Stefano Folli. Abbiamo scritto regime quando Lucia Annunziata, strattonata per mesi da un Cda supino alla linea del presidente-padrone, è stata costretta a lasciare la presidenza della Rai non potendo più esercitare il ruolo di garanzia assegnatole dai presidenti delle Camere.
In questi tre anni abbiamo gridato regime, regime e ancora regime esattamente come lo gridano oggi Gomez e Travaglio raccontandoci perché colpendo Enzo Biagi e tutti gli altri il regime berlusconiano abbia desertificato la tv e intimidito la libera informazione. Ci è stato risposto (non da Berlusconi che non ha mai nascosto la mano) che se parlavamo di regime eravamo un poâ?? irresponsabili e un poâ?? squilibrati, significando la parola regime fine della democrazia e di ogni libertà. Mentre in Italia, fino a prova contraria, i cittadini votano, il Parlamento legifera, le edicole sono colme di testate di diverso orientamento, infinita è la scelta dei canali televisivi. Ci è stato detto, anche a sinistra: se dite che câ??è il regime allora perché non ve ne andate in montagna a fare la resistenza? (obiezione stravagante perché sarebbe come chiedere a Pera, Ferrara, Feltri, e ai fervidi sostenitori della guerra di civiltà di andare, per coerenza, a combattere in Iraq con le truppe americane). A costoro aveva comunque già risposto Indro Montanelli spiegando che «oggi, per instaurare un regime, non câ??è più bisogno di una marcia su Roma né di un incendio del Reichstag, né di un golpe sul palazzo dâ??inverno. Bastano i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa: e fra essi, sovrana e irresistibile, la televisione».
Montanelli aveva colto il punto: chi controlla lâ??informazione televisiva, controlla la democrazia; ma una democrazia sotto controllo (televisivo) non è un regime? Un regime pieno di facce da operetta, battute da caserma, capelli tinti o trapiantati, sospeso tra Caligola e la Freedonia dei fratelli Marx. Tragico se festeggia sbracato sulle macerie della Costituzione. Feroce quando decide cosa i cittadini devono o non devono sapere o vedere. Un regime ormai generalmente subìto e accettato in un misto di anestesia condivisa e rassegnazione ragionata. Câ??è una risposta per tutto. Biagi aveva stufato. Luttazzi ha esagerato. Santoro era un fazioso. Con la satira la Guzzanti ha fatto i soldi. E poi: la Rai è sempre stata lottizzata e, ai suoi tempi, lâ??Ulivo ha fatto anche peggio. Come dice la Duchessa, sarebbe meglio se ciascuno sâ??impicciasse dei fatti suoi. (Per la cronaca: mentre de Bortoli non è più direttore del â??Corriereâ?, lâ??avvocato Previti che lo minacciava per lettera è sempre al suo posto: esercita il potere con efficenza e discrezione, ed è tra i principali artefici del condono vergogna sulle aree protette).

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