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Compromesso infelice sull'articolo 18
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di Domenico d'Amati

Compromesso infelice sull'articolo 18

Secondo il Corriere della Sera tra il Governo e le parti “più concilianti” sarebbe stato messo a punto uno schema di riforma secondo cui l’articolo 18, così com’è, resterebbe solo per i licenziamenti discriminatori. Per quelli dovuti a ragioni economiche sarebbe previsto un controllo da parte del Giudice limitato alla verifica che non si tratti di un licenziamento discriminatorio; ma il Giudice non potrebbe sindacare sull’effettività del motivo economico – organizzativo e non ci sarà diritto al reintegro, ma solo ad un congruo indennizzo.
Il progetto pecca di astrattezza e darebbe luogo a un infelice compromesso.
Come è dato di comune esperienza, nessun imprenditore motiva espressamente un licenziamento in modo da rivelare che esso abbia finalità discriminatorie per sesso, razza, convenzioni politiche, affiliazioni sindacali, etc.
Di solito l’azienda, quando vuole eliminare un dipendente sgradito per questo tipo di ragioni, dichiarate illecite anche dalla normativa europea, sostiene di averne dovuto fare a meno per ragioni economico-organizzative. In questi casi, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, il giudice, per poter affermare l’esistenza di un licenziamento discriminatorio, deve prima di tutto verificare l’effettività delle ragioni organizzative per esso addotte. Perché se esiste un effettivo motivo gestionale, la finalità discriminatoria deve essere esclusa, mentre se esso manca, v’è la possibilità di ritenere che la discriminazione sussista.
Quindi lo schema di riforma allo studio, escludendo la possibilità per il Giudice di verificare l’effettività del motivo economico addotto per il licenziamento, precluderebbe anche l’accertamento della finalità discriminatoria, lasciando campo libero ad ogni sorta di arbitrio.
Non è dato poi comprendere come si intenda consentire al lavoratore di percepire l’indennizzo pecuniario previsto per il licenziamento economico, dal momento che si nega al Giudice la possibilità di accertare se il motivo addotto sussista.
Molto probabilmente se si varasse una legge di questo tipo essa finirebbe davanti alla Corte Costituzionale, per violazione del diritto al giusto processo.
Altro motivo di illegittimità potrebbe essere il contrasto con la normativa europea che prevede la tutela contro il licenziamento ingiustificato e vieta ogni sorta di discriminazione. Rispetto ai trattati europei, e in particolare alla Carta di Nizza, l’articolo 18 non può essere ritenuto, come affermano i suoi critici, un’anomalia, perché anzi costituisce applicazione delle regole dell’Unione.
La differenza non costituisce anomalia. Basti ricordare che, in materia di diritto del lavoro, la Germania ha un istituto del tutto peculiare: la mitbestimmung, o partecipazione del sindacato alla gestione dell’impresa. Nessuno afferma che si tratti di un’anomalia da eliminare.
Se si volesse attuare una effettiva innovazione del nostro diritto del lavoro, anziché dedicarsi alla demolizione dell’articolo 18, si dovrebbe procedere sulla strada della cogestione.


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