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Articolo 21 - Editoriali
Tv e diritti la "dottrina" Zapatero
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di Guido Rampoldi

da La Repubblica
Si discute molto, dentro il Psoe di Zapatero e fuori, di cosa fare della televisione spagnola. Val la pena di seguire come andrà a finire. E non soltanto perché al tempo di Aznar la Tve statale fosse l´azienda più prossima alla Rai-tv. O perché l´Italia sia l´unico Paese dell´Unione in cui l´informazione è libera solo "parzialmente", secondo quanto certifica il rapporto 2004 dell´americana Freedom House, presieduta da un ex capo della Cia. Se infatti la questione si riducesse alla manipulacion informativa, quel mutilare e omettere alcune notizie e gonfiarne altre affinché ingombrino come aerostati i nostri orizzonti, la Spagna l´avrebbe già risolta. Caduto Aznar, i telegiornali sono più corretti di quanto fossero ancora l´anno scorso, quando la Tve fu condannata a rettificare nel modo più umiliante il falso col quale aveva fatto passare per fallito uno sciopero generale ad alta partecipazione. Ma il potere d´influenza della televisione non risiede tanto nei tg, quanto nel contribuire con l´intero palinsesto all´atmosfera d´un Paese ? percezioni, comportamenti, valori dominanti. Poiché di questo i socialisti spagnoli sono consapevoli e hanno ancora adiacenze col mondo delle idee, invece di affidare la Tve ad un famiglio affinché invertisse la direzione dell´ossequio hanno nominato direttore generale una cattedratica in comunicazione audiovisiva, e chiesto indicazioni ad un comitato di cinque "saggi" altrettanto titolati. � possibile inventare una televisione diversa dai modelli correnti? Sia l´incombere dei "saggi" oppure del ministero del Tesoro, che vorrebbe privatizzare uno dei due canali pubblici, la Tve sta cercando di aumentare la qualità del prodotto. Per la prima volta ha trasmesso documentari in prima serata, una scelta in Italia considerata suicida; imbottito il palinsesto autunnale di trasmissioni "colte"; e inaugurato dibattiti non pilotati sui temi più controversi, come l´eutanasia. Però ha mantenuto in orario di punta il cosiddetto famoseo, notiziario quotidiano su gravidanze d´attrici, sfidanzamenti di nobildonne e nozze di calciatori. Per i cinque "saggi" di Zapatero quella è telebasura, spazzatura: ma ha il suo pubblico, aiuta l´audience e comunque è offerta anche dalle tv private. Insomma in un´economia di mercato la telebasura è inamovibile. A meno che in gioco non vi sia il diritto dei bambini e degli adolescenti ad una crescita sana. E questo in Spagna potrebbe cambiare la televisione pu bblica e privata, almeno fino alle dieci di sera.
Il governo ha deciso di esiliare in seconda serata la telebasura pubblica e privata. La settimana prossima convocherà tutte le televisioni e ripeterà il rude aut-aut di Zapatero: o i privati si atterranno in modo "inflessibile" ad un codice di autoregolamentazione, oppure sarà inflessibile con loro il governo. Quest´ultimo ha dalla sua la legge del ?94, che con formula pericolosamente vaga vieta di mandare in onda prima delle 22 «programmi suscettibili di pregiudicare lo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori». Invece il codice di autoregolamentazione è uno strumento comune ad altre democrazie europee (dal 2003 esiste anche in Italia). Ma non è applicato con il rigore richiesto da Zapatero e comunque prevede regole più blande di quelle proposte dalla direzione della Tve, per le quali fino alle 22, e con più rigore fino alle 21, sarebbero banditi i programmi caratterizzati da un´immagine della donna "irrispettosa", una violenza gratuita o compiaciuta, allusioni sessuali, amoralità degli "eroi", insomma quanto si può trovare in tanti serial di successo. Ma qui si aprono questioni non da poco. Può la maggioranza relativa degli elettori decidere attraverso il governo i gusti dei telespettatori? Può la maggioranza relativa dei telespettatori imporre attraverso gli indici di ascolto forma e contenuti dell´offerta televisiva? Siamo al preludio della censura, come gridano alcuni, oppure è cominciata finalmente la ribellione contro il nuovo Soviet supremo, l´audience? I socialisti costeggiano una pedagogia orwelliana o invece è orwelliana la sensibilità "politica" con cui alcuni network articolano il messaggio complessivo delle loro televisioni? Inoltre non è poca cosa affermare che il diritto dei bambini precede tutti gli altri diritti. Anzi, a prenderla sul serio sarebbe una faccenda piuttosto rivoluzionaria. Pensiamo per esempio all´Italia. Tra le decine di migliaia di bambini che ogni anno abbandonano la scuola dell´obbligo, una quota è certamente vittima di insegnanti inetti e svogliati. Questi ultimi avranno pure l´alibi d´uno stipendio indecoroso, ma una sinistra che tenesse ben in alto il diritto dei minori si darebbe da fare per cacciarli dalla scuola. In massa. Senza alcuna esitazione. Magari cominciando dall´alto, da certi sonnolenti quadri del ministero dell´Istruzione. Invece le nomenklature ministeriali sono intoccabili, i Cobas degli insegnanti hanno potere di veto, lo Stato è concepito come un erogatore di posti piuttosto che di servizi, e di fatto non v´è alcuno, né a sinistra né a destra, che difenda i bambini cui è negata una scuola decente.
Insomma non è privo di conseguenze ripensare la società a partire dai diritti dei bambini. Se sono prioritari, allora il Psoe non può affermare in modo così perentorio il diritto degli omosessuali ad adottare, almeno fin quando non sia definitivamente chiaro se i minori cresciuti da coppie gay non risentano di quella condizione particolare. Ricerche americane darebbero ragione ai socialisti, ma i dubbi residui dovrebbe consigliare prudenza: in questo l´obiezione mossa dal primate di Spagna, il cardinal Rouco, è cruciale e condivisibile. Però la controffensiva del vertice ecclesiastico contro i matrimoni omosessuali non muove da lì, ma dal diritto naturale, bussola un po´ smagnetizzata da quando la scienza ha complicato la nozione di "natura" e l´ordine razionale conseguente ("la legge eterna di Dio" ribadita nell´enciclica Veritatis splendor). A loro volta i socialisti intendono affermare l´eguaglianza dei diritti (degli adulti), principio nell´occasione astratto ancorché considerato irrinunciabile dalla potente "lobby rosa". � un conflitto tra due assoluti: esclude il compromesso. Eppure proprio i diritti dei minori, in primo luogo dei bambini, circoscriverebbero un territorio neutrale sul quale gli uni, senza nulla rinnegare, potrebbero diventare più problematici, cioè più laici, perfino sull´aborto; e gli altri mitigare i furori nominalistici e misurarsi con la sostanza delle cose.
Può darsi che alla fine il Psoe troverà più comodo restare dentro il modello politically correct per i quali il marketing ha sempre ragione, in politica come in tv, e conviene dare ad ogni segmento del pubblico o del proprio elettorato ciò che quello attende, senza scontentare alcuno. Dopotutto è un modello che funziona: proprio sommando elettorati diversi e pezzi di culture politiche non convergenti, il centrodestra spagnolo è riuscito a governare la Spagna per otto anni; e quando, sul finale, s´è dato un profilo netto spostandosi a destra, ha perso le elezioni. Eppure è evidente che la scienza e la storia ci stanno preparando tempi complicati, nei quali forse dovremo reinterpretare il precetto kelseniano per il quale in una democrazia liberale «i giudizi di valore hanno una validità soltanto relativa», dato che «tutti devono rispettare l´opinione politica degli altri, giacché tutti sono uguali e liberi». Ma senza rinnegarlo, e sempre praticando l´esercizio, a quanto pare sconosciuto a certi suscettibilissimi prelati, cui giorni fa ci richiamava il cattolico Francesco Paolo Casavola: «Guardare il mondo con gli occhi altrui e non solo con i nostri».

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