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Articolo 21 - Editoriali
«Combattente coraggioso e uomo di Stato». D??Alema: «Yasser, speranza per un popolo di esuli»
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di Pasquale Cascella

da L'Unità

Come ricordare Yasser Arafat? Non vuole parlare al passato, Massimo D??Alema. Non è solo il dolore per l??agonia dell??«amico e compagno» a farlo aggrappare all??ultima, strenua speranza. ? che come «simbolo» della causa palestinese, il leader dell??Olp «vive» nel diritto all??autodeterminazione del suo popolo. «Come combattente, capo, e - perché no - uomo di Stato». Per quanti errori abbia commesso, per il presidente dei Ds il nome di Arafat resta indissolubilmente legato agli accordi di pace che gli valsero il premio Nobel condiviso con Yitzhak Rabin, il premier israeliano immolato da un terrorista del suo stesso paese. La speranza spezzata della convivenza tra due popoli e due stati, se non tradita, è sempre stata una costante dei continui incontri di D??Alema con Arafat e D??Alema. La memoria va all??ultimo, della primavera scorsa, in quella Moqada sede della legittima amministrazione palestinese trasformata dai militari israeliani in un ridotto coatto per il leader palestinese già costretto a consumarsi nella malattia. «Era la missione dell??Internazionale socialista - rammenta D??Alema, che ne è vice presidente - decisa dal Consiglio di Madrid per riprendere il filo di dialogo tessuto a Ginevra e favorire il cessate il fuoco. Ma il giorno prima era stato colpito il leader spirituale di Hamas, lo sceicco Yassin, e la tensione e la paura di una spirale di violenza e rappresaglie lasciavano temere il peggio. Arafat era visibilmente scosso, oltre che segnato dalla condizione di costrizione personale. Ripeteva ossessivamente che la responsabilità era tutta di Ariel Sharon. Ma, per quanto precarie fossero le sue condizioni di salute, esprimeva un??analisi drammaticamente lucida. Quando lo sollecitammo a pronunciarsi contro l??appello alla vendetta di Hamas, ci rispose che non sarebbe venuto meno, ancora una volta, a dirsi contrario a ogni atto di terrorismo contro i civili israeliani, ma ci ricordò come all??autorità palestinese fossero negati i mezzi militari e l??agibilità politica per farsi valere sul territorio e perseguire un autentico accordo tra tutte le fazioni, armate e non. ??Non a caso?, sottolineava, adombrando un disegno israeliano teso a far precipitare una guerra civile palestinese».
Resta convinto, D??Alema, che tanto Arafat quanto Abu Ala fossero sinceri nell??accogliere a braccia aperte la proposta di cui la delegazione dell??Internazionale socialista era portatrice. E la considera ancora più attuale mentre il vecchio leader va spegnendosi: «Ne avevamo già discusso con Shimon Peres a Madrid, tornammo a farlo a Gerusalemme, facendo valere il sostegno ricevuto da Romano Prodi e da Javier Solana. Si trattava, e si tratta, di liberare la road map dall??ipoteca dello scontro con l??imposizione del cessate il fuoco, garantendo la ripresa dei negoziati con le parti in conflitto attraverso una qualificata presenza di osservatori internazionali e sostenendola con la prospettiva di una forma speciale alla Unione europea per Israele, il nuovo stato palestinese e la Giordania, oltre che da un più ampio rapporto di cooperazione per la sicurezza con la Nato. Continuare a sostenerla, per me, diventa un vincolo morale».
I ricordi si affestellano. Un salto all??indietro, nel tempo, all??ottobre del 2001. Quella volta D??Alema era andato a Gaza, in occasione di un seminario internazionale di parlamentari. Era stato proprio Arafat a chiedergli di adoperarsi perché la delegazione italiana avesse un profilo all??altezza dei forti legami tra le rispettive istituzioni. Il presidente dei Ds se ne fece carico, partendo assieme a Gustavo Selva, presidente della Commissione Esteri della Camera, la verde Laura Cima e un Bobo Craxi particolarmente emozionato nel ripercorrere le orme del padre Bettino. E proprio al braccio di D??Alema si affidò Arafat appena messo piede nella sala avvolta da fitte tende per proteggere l??incontro con l??ampia delegazione dei parlamentari europei. Il capo palestine volle che l??ex premier gli sedesse accanto. Ad un tratto gli prese la mano e se la tenne stretta con forza, come a cercare appoggio morale prima che politico, in quei momenti di tensione per l??escalation dell??intervento armato israeliano nei territori amministrati, da Betlemme e Beit Sala. Come dimenticare il pathos sdegnato che incrinava la voce del vecchio guerrigliero nel respingere come «orrido» l??accostamento, da parte di Sharon, del suo nome con quel Bin Laden «che per la causa palestinese non ha mai fatto nulla, anzi è un nostro nemico»?
Riflette, D??Alema, su quanto sia costato ad Arafat schierarsi, dopo la tragedia dell??11 settembre, nella grande alleanza contro il terrorismo. «Anche se fu mosso dall??esigenza di ricucire i rapporti con gli Usa, dopo il grave errore del no alla mediazione di Bill Clinton a Camp David, quello fu un atto di grande coraggio». Non meno audace dell??opera compiuta anni prima nel convincere l??Olp a riconoscere il diritto all??esistenza di Israele. «Sfidando l??ostilità di tanta parte del mondo arabo», rileva il presidente dei Ds: «E anche, in quei frangenti, l??isolamento. Ma riuscendo a dare a un popolo di esuli una identità comunitaria e la dignità del riconoscimento internazionale. ? così che ha costruito la sua leadershipe farsi riconoscere come interlocutore sulla scena mondiale». Non più però dal governo di Sharon, per il quale è tornato ad essere soltanto il «nemico». «Sa che diceva Yasser? Che Sharon non riconosceva la sua leadership perché non riconoscere alcuna leadership palestinese. E, in effetti, l??idea che si potesse tenere in costrizione il presidente eletto dai palestinesi e trattare a proprio piacimento con un primo ministro o altre personalità nominate dal presidente è tanto bizzarra quanto artificiosa».
Il segno della leadership continua a marcare il traumatico epilogo della vita di Arafat. «Ci fu un momento, nell??ultimo incontro - ricorda D??Alema -, in cui Yasser sembrò restituire a Sharon pan per focaccia: ??Dopo Rabin non c??è stata in Israele una leadership che volesse davvero il processo di pace?, disse. ?, in effetti, un metro di misura per ogni leadership». Ecco perchè il presidente dei Ds s??attende che, quale sia la leadership del dopo Arafat, sia conseguente alle scelte più coraggiose e responsabili del leader che lascia la scena: «I palestinesi hanno il dovere di combattere il terrorismo fondamentalista, viverlo come nemico dell??umanità, della pace, quindi come nemico della propria causa. Sappiamo tutti che nel vuoto di prospettive e in un clima di crescente disperazione si rischia la totale ingovernabilità, che più si allarga l??odio più il conflitto si acutizza. Ma battersi per il rispetto di quel dovere significa battersi per il diritto dei palestinesi ad avere una patria e farlo valere nei confronti di chi non lo rispetta». Guarda pure, il presidente dei Ds, alla prova speculare della leadership di Israele, degli Usa, dell??Unione europea: «Molto di quel che accadrà ora dipende dalla comunità internazionale, dalla volontà di cambiare rotta, da una visione strategica dei destini dell??intera area, dalla capacità di agire perché siano finalmente rispettate le risoluzioni delle Nazioni unite sui diritti di questi popoli».
Non è solo un sogno. L??ultimo ricordo di D??Alema va alla notte del Giubileo, vissuta da presidente del Consiglio assieme ad Arafat nella chiesa della Natività di Betleemme: «Si levò la preghiera per la pace e i nostri sguardi si incontrarono. L??invocazione comune di quel Natale resta la grande speranza».

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