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Articolo 21 - Editoriali
Nassiriya, io câ??ero
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di Marco Calamai*

Mi sono spesso chiesto chi abbia organizzato e perché, proprio a Nassiriya, nel cuore del profondo sud sciita dellâ??Iraq, la terribile azione terroristica del 12 novembre 2003 che provocò la morte di 17 militari e 2 civili italiani oltre a diversi iracheni innocenti. Sono tuttora convinto, un anno dopo, che quella autobomba veniva da fuori, che la matrice terrorista era sunnita, probabilmente non irachena. La stessa logica degli attentati islamici a Baghdad, a Madrid, ad Istanbul. Ma sono anche convinto che se era forse impossibile evitare quell'azione suicida, tuttavia gli effetti devastanti di quel evento, il cui rischio era avvertito da molti, potevano probabilmente essere almeno ridotti con opportune decisioni cautelative. Il 27 ottobre 2003, durante la riunione mensile - che ho raccontato nel mio «Diario da Nassiriya» edito dallâ??Unità - degli sceicchi della provincia (Dhi Qar) con il contingente italiano, alla quale partecipai anchâ??io (allora ero Consigliere speciale della Cpa), un autorevole sceicco ci aveva ammonito.
«Vi avverto - disse lo sceicco - che da qualche giorno stanno circolando nella provincia strane macchine, con uomini armati che vengono da fuori».
Ecco quindi la domanda che ancora oggi attende una risposta ufficiale: perché non furono applicate adeguate misure di sicurezza allâ??edificio dei carabinieri? Personalmente avevo più volte espresso, in particolare al governatore inglese, le mie preoccupazioni sulla situazione della sede della Cpa, anchâ??essa particolarmente esposta ad eventuali azioni terroristiche. La risposta era sempre la stessa: «A Nassiriya gli abitanti sono amici della coalizione; la Cpa non può in alcun modo dare alla gente lâ??impressione di temere le forze ostili essendo la coalizione impegnata nella ricostruzione e nel consolidamento della democrazia». Una risposta la cui logica politica, da parte inglese e da parte italiana, portava a sottovalutare il pericolo del terrorismo (a Baghdad câ??erano già stati i terribili attentati contro lâ??Onu, lâ??Ambasciata giordana e la Croce Rossa internazionale) e in ogni caso ignorava la tensione crescente nel mondo sciita, anche a Dhi Qar.
Mi sono rimaste impresse, a questo proposito, le parole di un altro sceicco nella riunione del 27 ottobre: «Sono stato cinque anni in Europa. Ho capito che lâ??Europa non è come gli Stati Uniti. Voi europei, voi italiani, credete davvero nella libertà e nel rispetto dei diritti umani. Ecco perché vi abbiamo accettato, ecco perché siamo contenti della vostra presenza. Ma attenzione: il tempo sta passando e la gente comincia a pensare che vi state comportando come gli americani. Il tempo passa e la gente sta sempre peggio. Prima o poi darà la colpa anche a voi italiani, non solo agli americani».
Ã? andata proprio così. Ã? noto che allâ??inizio gli sciiti erano favorevoli - ho potuto verificarlo di persona - allâ??invasione che aveva abbattuto lâ??odiato regime di Saddam (la sanguinosa vendetta dopo la rivolta del â??91; la desertificazione della grande regione delle paludi, proprio vicino a Nassiriya, provocata deviando le acque del Tigri e dellâ??Eufrate). Un quadro, dunque, particolarmente favorevole alle azioni umanitarie e alla ricostruzione. I soldati italiani, dâ??altra parte, erano seriamente impegnati in interventi di emergenza (scuole, ospedali, strade e ponti, fognature, centrale elettrica) sfruttando lâ??esperienza accumulata nei Balcani e altrove nelle operazioni di peace-keeping. Ma si trattava di piccoli interventi a pioggia, gocce nel mare, che non potevano di certo modificare una situazione economica sempre più degradata la quale a sua volta alimentava un crescente malessere sociale. Perché, ecco il punto, i soldi veri per la ricostruzione non arrivavano (non sono mai arrivati). Se i militari italiani riuscivano almeno a spendere i pochi soldi che arrivavano dalla Divisione inglese (attenzione: non dal governo italiano!), la Cpa di Nassiriya, paralizzata dalla burocrazia interna e dalla mancanza di fondi, non riusciva neanche ad avviare i progetti già approvati.
«State facendo poco, troppo poco, per la ricostruzione della provincia», disse uno sceicco nella riunione del 27 ottobre. «Dovete fare di più. Siamo stanchi di tante parole, di tante promesse. Attenti con il popolo iracheno, ricordatevi che chi oggi vi ama può diventare domani il vostro peggiore nemico».
Cosa è successo dopo il 12 novembre 2003?. Oggi le condizioni della popolazione (disoccupazione di massa, inflazione, mercato nero, infrastrutture fatiscenti, mancanza di sicurezza...) sono le stesse, se non peggiori, di un anno fa. I militari italiani si sono rinchiusi nel fortino di Tallil riducendo al massimo le azioni di pattugliamento (ulteriormente ridimensionate dopo i gravi scontri dei ponti tra il contingente italiano e i seguaci di Muqtada al-Sadr della scorsa primavera) mentre lâ??aiuto umanitario è stato drasticamente condizionato dalle sempre più rigide regole della sicurezza. E i progetti civili che dovevano essere avviati dalla Cpa?. Un dato è certo: nessuno oggi rimpiange il governatore Barbara Contini, lâ??ultimo governatore della Cpa, sciolta alla fine dello scorso giugno quando il â??potere sovranoâ? è stato consegnato da Bremer al nuovo primo ministro Allawi. E la delusione per la mancata ricostruzione si è trasformata in rabbia diffusa.
Ma la grande delusione sciita nei riguardi della coalizione si è espressa anche, con forza crescente, nella protesta contro la mancata volontà di procedere verso un regime democratico e sovrano. A Dhi Qar, come in tutto lâ??Iraq, gli americani hanno caparbiamente impedito libere elezioni a livello provinciale in coerenza con il progetto Bremer del 15 novembre 2003 che prevedeva un Parlamento nazionale attraverso la cooptazione dallâ??alto di un certo numero di rappresentanti â??sicuriâ? delle 18 province irachene. Un programma â??neocolonialeâ? che lâ??ayatollah al-Sistani, la massima autorità religiosa sciita, ha bocciato senza appello la scorsa primavera.
Ã? in questo scenario che, proprio a Nassiriya, si è sviluppato nellâ??ultimo anno un forte movimento contro il Consiglio provinciale cooptato dalla coalizione e non eletto. Una situazione fin dallâ??inizio contestata da molti leader politici e religiosi locali. Sono state, è vero, â??tollerateâ? le elezioni municipali ma poi si è cinicamente impedito il loro funzionamento dando alle nuove istituzioni comunali (una delle tante idee brillanti di Bremer) soltanto 800 dollari al mese per interventi sul territorio. Una politica di svuotamento delle rappresentanze locali che denunciai quando mi dimisi dal mio incarico alla Cpa e che da allora è rimasta immutata.
Ora la coalizione dei â??volenterosiâ? sottolinea lâ??importanza â??democraticaâ? delle elezioni generali. Proprio quelle elezioni, ironia della storia, che Bremer non voleva. Ma si terranno davvero, come previsto, entro la fine gennaio del 2005? A Nassiriya, mi hanno detto pochi giorni fa amici iracheni, non è stato organizzato ancora nulla per garantire la partecipazione al voto. Eppure, proprio a Nassiriya, come in tutto il mondo sciita, la richiesta di libere elezioni viene da tutte le componenti politiche e religiose - dal tanto odiato â??radicaleâ? Muqtada al-Sadr al tanto chiacchierato ex filo americano Chalabi - che in questi giorni stanno cercando di arrivare ad una lista unica. Una ipotesi che certo preoccupa sia Allawi che i suoi sponsor, decisi ad impedire ad ogni costo che il futuro parlamento esprima una maggioranza contraria allâ??occupazione.
Ecco che il â??terrorismoâ?, soprattutto se fallisse lâ??offensiva â??finaleâ? in atto contro le città sunnite occupate dagli insorti, potrebbe diventare un ottimo pretesto per rinviare le elezioni. O per condizionarle, al fine di garantire il successo delle liste â??amicheâ?. In questo modo lâ??iniziale progetto di Bremer, cacciato dalla porta da al-Sistani, rientrerebbe dalla finestra.

*da l'Unità - 11 novembre 2004

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