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Articolo 21 - Editoriali
Che significa il Festival dellâ??impegno sulle terre di don Peppe Diana
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di Pina Picierno

Ero completamente immersa nell’organizzazione di un’iniziativa sul tema della legalità e del ruolo della cultura a Mondragone, quando alcuni giornali locali hanno dato la notizia di una scuola di Grazzanise, in provincia di Caserta, vandalizzata con scritte inneggianti alla Camorra. Gli autori? Due ragazzini, di 10 e 13 anni. Ho pensato molto a questo episodio. Mi sono chiesta: cosa significa la parola “camorra” per due bambini, e come se la immaginano? Come si immaginano gli uomini dei clan per arrivare a compiere un gesto così? Credo che questo sia esattamente il terreno su cui occorre riflettere e lavorare di più. Dobbiamo interrogarci su quello che prende forma nella testa dei ragazzi della mia terra, per arrivare a pensare al boss come una sorta di mito, alla camorra come scelta di vita. Dobbiamo combattere le mafie prima ancora che con la repressione, nella testa e nella carne dei nostri ragazzi.
Cosa ci può aiutare? Il racconto della verità, prima di tutto. La mistificazione del boss come uomo di successo, responsabile verso la comunità, che conquista sul campo consenso e onore, fa a pugni con la realtà di tutti i giorni dei luoghi abbandonati dallo Stato: abbandono, violenza, povertà, dolore, sofferenza, caratterizzano tutte le terre di mafia.
La verità, è che in terra di camorra i cittadini sono schiavi, perché i diritti non esistono, si trasformano in concessioni, in grazie ricevute; la verità è che viviamo in una terra povera, perché loro si arricchiscono sulla nostra pelle; la verità, ancora, è che camminiamo su cumuli e cumuli di rifiuti tossici, che ci hanno avvelenato, a causa dei loro traffici illeciti.
E allora dobbiamo scoprirla, questa verità, raccontarla, testimoniarla, fare in modo che diventi la percezione di tanti, di tutti, e non solo la preoccupazione di qualcuno. Dobbiamo farla diventare l’antidoto più forte al disimpegno, al deficit di senso civico, a quell’anestesia delle coscienze che è lo spazio in cui le mafie pescano.
Per questo credo che l’iniziativa di Mondragone abbia acquisito ancora più senso: riempire una piazza in un sabato sera qualsiasi perché si proietta un film, si recita uno spettacolo, perché c’è della musica; una piazza che di solito è occupata dalle macchine e battuta dal vento di litorale stanco, può essere una risposta, forse momentanea, al bisogno di bellezza e di speranza.
Ed ecco perché con gli occhi ancora pieni della corsa dei ragazzi che dal villino di Mondragone si precipitavano in piazza per vedere la sparatoria che da lontano avevano sentito, per poi mischiare delusione e curiosità nel trovarsi davanti “solo” a “Fortapasc”, film su Giancarlo Siani, guardo con entusiasmo al programma ricco di spunti interessanti e di messaggi importanti del “Festival dell’Impegno Civile”. Tre giorni in cui all’impegno quotidiano si unisce il dibattito, la proposta critica, la forza della parola e della creatività. Tre giorni a cui seguiranno altri giorni e poi altri ancora, tutti i giorni del comune impegno per cambiare la nostra terra.

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