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Articolo 21 - Editoriali
Il bluff della privacy**
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di Roberto Natale*

Le scalate editorial-finanziarie dell’estate del 2005, quella dei “furbetti”; il crack Parmalat, con le truffe ai danni dei piccoli risparmiatori; la clinica santa Rita di Milano, dove alcuni medici senza scrupoli eseguivano trapianti a fini di lucro. Sono tre esempi del tipo di vicende che i cittadini italiani conosceranno con grande ritardo - o non conosceranno affatto - se diventerà legge il pericoloso testo votato ieri dalla Camera. Tre esempi che dicono anche come non c’entri nulla la nobile bandiera della riservatezza, innalzata da governo e maggioranza. Come giornalisti non consideriamo un valore l’intrusione nella vita privata degli individui (anche se, in materia, abbiamo qualche errore da farci perdonare). Ma il ddl Alfano non ha niente a che vedere con una migliore tutela della privacy. L’effetto sarà piuttosto quello di oscurare vicende di assoluto rilievo pubblico: ci sarà un gigantesco sequestro di fatti. Ad evitare il quale non bastano certo gli emendamenti apportati alla versione originaria del testo. L’on. Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia, ha riconosciuto che con la formulazione del Ministro “sarebbe stato come tornare alla preistoria”. Ma le correzioni da lei proposte non ci fanno ancora arrivare all’età della democrazia. Degli atti delle inchieste giudiziarie, anche quando noti alle parti - dunque pubblici - si potrà scrivere “solo per riassunto”: perché mai, se non c’è più il segreto? E quale dovrà essere la stringatezza del riassunto? 10 per cento, 20, 50? Le intercettazioni, poi, non saranno per nulla pubblicabili fino al processo. Se l’esigenza fosse stata davvero quella di tutelare la riservatezza, sarebbe stata accolta la nostra proposta: una udienza-stralcio in cui accusa e difesa concordano di secretare le parti delle intercettazioni e degli altri atti prive di rilevanza per le indagini, o riguardanti la sfera privata. Quelle devono rimanere riservate; ma su tutte le altre deve esserci pieno diritto di informare. E invece il lavoro dei cronisti si ritrova soggetto ad una doppia minaccia: il carcere per i giornalisti (da sei mesi a tre anni); sanzioni pesantissime a carico degli editori (fino quasi a mezzo milione di euro), per indurli a intromettersi nel funzionamento ordinario delle redazioni, imponendo a direttori e cronisti di far vistare gli articoli dall’ufficio legale dell’azienda. Ma giornalisti ed editori, anziché cadere nella trappola della contrapposizione reciproca, hanno deciso di fare fronte comune contro il ddl Alfano. In questi giorni Fnsi e Fieg ripeteranno sui quotidiani un “appello estremo” perché il Senato modifichi nei punti decisivi il testo uscito dalla Camera. Il sindacato dei giornalisti non vuole lasciare nulla di intentato: c’è un giudice a Strasburgo, cioè la Corte europea; c’è la Corte Costituzionale; c’è la disobbedienza civile da praticare. Ma prima ancora che il testo diventi legge sarà usato ogni strumento per sollecitare ripensamenti, compreso il classico sciopero. Come facemmo esattamente due anni fa contro il ddl Mastella, pericoloso quasi quanto il testo Alfano. Viva la par condicio.

*Presidente Fnsi

** dal Manifesto

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