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Articolo 21 - Editoriali
Rai ai privati, piccoli e amici. Siederanno nel cda uomini di fiducia del premier
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di Marcantonio Lucidi

da Avvenimenti

Quando si parla di Rai, è sempre bene rivolgersi agli specialisti del varietà per capire cosa mai succede o succederà nel grande corpo di ballo politico che è viale Mazzini. Nel giugno â??95, commentando la vittoria del sì al referendum sulla privatizzazione della tivù pubblica, Pippo Baudo disse: «Mah, a me questa storia lascia perplesso. Ã? stato un voto emotivo, istintivo. Non riesco a capire quali saranno questi privati disposti a comprare piccole quote, di valore minoritario e senza poteri effettivi sulla Rai che rimarrà a maggioranza pubblica». Identica domanda se la sono posta vari commentatori in questi ultimi giorni a proposito della messa in vendita del 20 per cento delle azioni e del divieto ai privati di possedere più dellâ??1 per cento del capitale complessivo. Tuttavia il ministro Gasparri la settimana scorsa ha acceso il motore della privatizzazione  parziale, parzialissima, dellâ??azienda con la fusione di Rai holding e Rai Spa. A via Veneto 89 mercoledì 17 novembre, nei locali che furono dellâ??Iri, è stata partorita la Rai Radiotelevisione italiana Spa.

Il diessino Giuseppe Giulietti è chiarissimo su questa faccenda: «Una truffa politica, una finzione che serve a fare entrare nel  consiglio di amministrazione due nuovi consiglieri scelti dalla maggioranza. Quindi adesso la Rai è blindata anche politicamente. Perché dal punto di vista editoriale, la Rai è già stata privatizzata con lâ??espulsione di comici e giornalisti». Giulietti fa notare che non câ??è nessun editore italiano importante interessato a quote dellâ??azienda: «Tutta lâ??operazione verrà realizzata assieme a piccoli imprenditori di fiducia del governo». Insomma, per contentare lâ??amico Silvio, qualcuno metterà un poâ?? di soldi nella bocca del cavallo di viale Mazzini. «Però le strutture pubbliche non sono cose private della maggioranza - ricorda Sergio Bellucci, che da anni per Rifondazione segue le vicende della tivù pubblica - Con la privatizzazione, si inserisce il diritto al profitto in unâ??azienda che ha una missione diversa.

La Rai sta subendo un danno doppio: da una parte si attua una spoliazione del servizio pubblico, dallâ??altra il capitale coinvolto nella privatizzazione è troppo esiguo per aprire una vera prospettiva di sviluppo sul mercato. Questo perché il governo Berlusconi non è interessato allâ??ideazione e realizzazione di un grande piano industriale che metta la Rai in condizioni concorrenziali nei confronti di Mediaset».
Questa storia, che ha provocato litigi molto seri anche nel centrosinistra, incomincia, come è uso nelle cose italiane, tanto tempo fa. Quando nel 1991, lâ??allora presidente craxista della Rai Enrico Manca fece sapere da New York (spesso è dallâ??estero che si fa sapere cosa è bene o male per il paese) che lui non era contrario a una partecipazione di minoranza del capitale privato nellâ??azienda: «Non privatizzazione - precisò - partecipazione». Da lì in molti hanno partecipato a fare sapere la propria idea. Marco Follini ad esempio, allâ??epoca democristiano di terza fascia messo a fare il consigliere Rai, si dichiarò contrario anche lui alla privatizzazione . «E perplesso - puntualizzò - sulla proposta di aprire la Rai al capitale privato».

Però si cambia idea nella vita e sette anni dopo, da vicesegretario Ccd, Follini redento osservò: «Lâ??apporto di capitale privato è una freccia in più allâ??arco del servizio pubblico. Ma per il futuro non mi sentirei di escludere privatizzazioni più ampie». Quando si sale nella carriera, si vedono le cose dallâ??alto e si capisce a dovere la complessità degli interessi terreni. Naturalmente Berlusconi era favorevole, Prodi anche - al punto da impegnarsi in campagna elettorale nel â??95 a privatizzare la Rai - Fini invece disse il 5 giugno del â??94: «Sono contrarissimo a smantellare il servizio pubblico dellâ??informazione, la Rai non può essere privatizzata ma gestita allâ??insegna del pluralismo e della trasparenza». Poi siccome lâ??amicizia con il Cavaliere si è rafforzata e siccome An è evidentemente  il regno della coerenza, Gasparri ha potuto avviare ciò a cui il segretario del partito era ostile.

Il ministro delle Telecomunicazioni è arrivato alla fusione di Rai holding e Rai spa dopo un paio di trimestri passati a fare lo slalom fra le brutte figure. Giuliano Malgara, presidente dellâ??Upa, Unione pubblicità  associati, quindi non proprio un leninista, osserva con understatement: «Sul problema della privatizzazione della Rai probabilmente non si è riflettuto abbastanza». Ma il ministro aniota non fiata. Il 5 luglio, si fa notare a Gasparri che la sua legge prevede la fusione per lâ??indomani, 6 luglio.  Però lui glissa, fa finta di niente, anche perché bisogna mantenere in vita il Consiglio di amministrazione e il controllo governativo sullâ??azienda, quindi non conviene affrettarsi. Nel frattempo anche lâ??Udc, oltre ai Ds, chiede un nuovo cda per il rientro dalle ferie. Settembre è un mese agitato:pare che le istituzioni finanziarie, a sentire il ministro, facciano la fila davanti al suo ufficio perché vogliono investire nella Rai, però dallâ??azienda gli chiedono come tutto ciò sia compatibile con le convinzioni del Presidente della Repubblica e del Parlamento europeo sulla centralità del servizio pubblico. Il 28 settembre, Gasparri porge allâ??opinione pubblica un grave problema matematico: «I privati nomineranno i loro rappresentanti nel consiglio in base a criteri proporzionali: se sarà ceduto il 20 per cento, indicheranno il 20 per cento sui nove consiglieri». Indicheranno quindi 1,8 consiglieri. Mentre lâ??Italia sâ??interroga su chi farà il virgola 8, lâ??alleato Udc spara di nuovo contro il cda e anche gli amici del Nuovo Psi dicono di non amare per niente i vertici di viale Mazzini. Il ministro nel frattempo annuncia che il Tesoro sta per inviare le lettere agli advisor, i consulenti, per la privatizzazione, da lui prevista per la primavera 2005.

Dal Tesoro non dicono una parola di conferma (le lettere partiranno solo ai primi di novembre), ma da viale Mazzini il dg Flavio Cattaneo spiega pacatamente che è «difficile parlare di tempi». Insomma, fra una gaffe e lâ??altra, fra Storace che dice no alla privatizzazione e Gasparri che dichiara «irrilevanti» le perplessità in An, sâ??arriva finalmente a questa fusione, contestata anche nel Polo. Persino una parte di Forza Italia, Agostino Saccà per esempio, capo di Rai fiction, la ritiene unâ??avventura pericolosa, mentre dentro Alleanza nazionale molti hanno paura che la qualità dei programmi venga danneggiata dallo sbarco dei privati. Il margheritino Paolo Gentiloni, responsabile informazione del partito, parla di «privatizzazione gattopardesca. Piace ai paladini del duopolio e ai difensori dello status quo. A quanti sperano che la quotazione in Borsa congeli la Rai di oggi».

Ma se lâ??alleanza guidata da Prodi tornerà a governare, come cambierà la tv pubblica? «Solo una Rai più simile alla Bbc può evitare di essere sempre più uguale a Mediaset - riflette Gentiloni -. E solo se la Rai sarà interamente finanziata dal canone, si potrà forse evitare il continuo peggioramento della nostra televisione e il rischio di estinzione del servizio pubblico». Mica soltanto Follini ha il diritto di cambiare idea.

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