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Articolo 21 - Editoriali
Il Quirinale parafulmine
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di Montesquieu*

Il capo dello stato ha esortato a non confondere la crisi della politica con la crisi delle istituzioni: come a dire che alla prima non si accompagna necessariamente la seconda. Si può pensare che l’intento fosse quello di mettere al sicuro i fragili organismi istituzionali dalla litigiosità della dialettica tra le forze politiche. Metterli in sicurezza, si direbbe oggi: come si fa con i cristalli, o le porcellane, quando i bambini si prendono a pallate in salotto. L’intenzione è, ovviamente, lodevole, e non solo perché è corretto definire così le prese di posizione del garante “generale” delle nostre istituzioni. Ma soprattutto perché nessuno come lui ne valuta i rischi che corrono, o le lesioni che negli anni le stesse hanno subito. Ogni istituzione ha, infatti, un “garante specifico” rispetto al quale le possibilità di richiamo, o anche di intervento, del capo dello stato si collocano in una eventuale, delicata seconda battuta.
Gira e rigira, però, dalle istituzioni si ritorna ai partiti, e ai rapporti che la nuova politica ha impostato almeno in via di fatto, tra se stessa e i vertici istituzionali, soprattutto di garanzia. Rapporti che sono diversi, tra le due coalizioni: nell’ambito di quella oggi al governo, la situazione si riflette nella integrale identificazione di tutti, anche dei capi delle istituzioni, nel capo supremo, con esclusione del concetto costituzionale, grosso modo, della sospensione dall’appartenenza allo schieramento da parte di chi assuma incarichi di garanzia, terzi rispetto al conflitto politico.
Se c’è un’eccezione, ed oggi c’è in una delle due camere, questa è veramente l’eccezione che conferma la regola. Al punto da diventare essa stessa fattore di tensione all’interno dello schieramento, e di interpretazioni tutte in chiave dietrologica, che testimoniano di come l’assenza di un minimo di dialettica, per quindici lunghi anni, abbia cancellato la coscienza delle funzioni terze, di quelle che vivono al di sopra o “tra” le coalizioni.
Nella coalizione oggi in minoranza, il rischio è un altro: l’uso della carica istituzionale a fini di costruzione di una rendita di posizione da utilizzare a fini di autorafforzamento nelle proprie fila.
Se vi sono eccezioni, da questo lato, vanno addebitate semmai a carenza attitudinali. Si torna, è difficile contestarlo, dentro la politica, dentro i partiti, dentro le coalizioni: come a dire che la gestione delle istituzioni a questi spetta, vanificando in grande parte la preoccupazione del capo dello stato di tenere separati i guai delle istituzioni da quelli, purtroppo paralleli, della politica.
Ammesso, e non concesso, che si possa immaginare un intervento sulle istituzioni, anche condiviso –ancor meno concesso – lo stesso finirebbe per essere un intervento sintomatico e superficiale, che non arriva alle cause ,alle radici del male .Che è, detto in estrema sintesi, quello di un sistema che crede di avere una maggioranza forte e compatta ,al punto da sembrare invincibile, e non la ha; e un’opposizione che ha addirittura difficoltà ad apparire come un’alternativa. Due estreme debolezze, una delle quali nasconde e copre l’altra.
L’una –il centrosinistra – con un difetto di leadership non soccorso da una ispirazione alla collegialità: due problemi in uno, non si capisce come li avvieranno a soluzione, e necessariamente entrambi e simultaneamente. La maggioranza, con un esubero di concentrazione di comando nel capo, e una collegialità apparente, basata sulla assenza di democrazia interna, sulle forme della selezione parlamentare e, in ultima analisi, sulla convenienza. Anche questo, un castello costruito sulla sabbia, e quindi quanto mai precario, capace di crollare con una sola scossa.
Si capisce da questa raffigurazione, per chi la condivida, come e perché la suprema funzione costituzionale, fino a qualche anno fa sereno approdo di prestigiose carriere politiche, sia diventata ad un tratto il parafulmine di tutte le tensioni politiche, e sia oggi la ricerca continua di un difficile, periglioso equilibrio tra una funzione di garanzia, con estraneità alle parti spesso reciprocamente ringhiose, e l’impossibilità di ignorare una graduale ma galoppante trasformazione del sistema: fondata da un lato sull’uso impietoso dei rapporti di forza nelle aule del parlamento, dall’altro sul conseguente disconoscimento della coesistenza di funzioni costituzionali non subordinate a quella di governo.
Sembra vano, anche se generoso, il tentativo di nascondere gli acciacchi di meccanismi istituzionali piegati agli interessi di parte separandoli dalla sgangheratezza delle formazioni politiche.
Essa stessa costituisce, da sé, un grave problema istituzionale ,e quindi un problema della democrazia.
Forse il perimetro di intervento della massima magistratura ,già ampliato, necessariamente, rispetto alla previsione ordinaria della carta costituzionale, è ancora destinato a stirarsi ad allargarsi, ogni volta che il capo dello stato si troverà davanti all’alternativa tra rigoroso rispetto del proprio ambito e tutela dei valori della nostra democrazia.

*da Europa
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