Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - Editoriali
Il superconflitto di interessi
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Montesquieu*

Gli interessi personali ed economici del capo del governo sembravano le vittime predestinate, all’inizio di quella che sarebbe divenuta l’era berlusconiana della politica. Soprattutto quelli che gli garantivano una posizione dominante nel settore dell’informazione e della comunicazione, cioè quelli che più mettono in ansia e rendono sensibile la comunità politica.
I quindici anni appena trascorsi ci raccontano, invece, di un’inerzia estenuante, fondata, dopo la prima, breve esperienza di governo dell’allora Polo del buon governo e delle libertà, su una sottovalutazione dell’avversario che si potrebbe almeno definire miope, così come potrebbero definirsi poco lungimiranti gli autori di quella intuizione.
Una sottovalutazione tale da indurli a rianimare, per tenerlo in gara, il competitore, e così da sorvolare su una esistente e praticabile incompatibilità, bell’e pronta pronta per l’uso, tra l’attività politica e la fruizione di concessioni statali.
Sono passati quindici anni, e quegli interessi non solo godono di eccellente salute, ma sono cresciuti esageratamente, da non avere più alcun bisogno di aiuti esterni, tanto meno della generosità dell’avversario. La situazione di squilibrio, inedita non solo per il nostro paese, nel possesso delle fonti di informazione e comunicazione, sarebbe divenuta l’embrione di una stagione all’insegna del superamento di un sistema fondato sulla separazione dei poteri, principio naturale di ogni democrazia. Perché, per continuare a vincere su un interesse collettivo primario quale il pluralismo e la libertà di espressione, quello squilibrio, quella disparità dovevano nutrirsi di un sistema debole nei controlli e nelle funzioni di garanzia.
Così, per farla breve, disinnescato il parlamento nella sua funzione di controllo e di indirizzo, e deformato in quella legislativa, costituzionalmente destinata a regolare l’interesse generale; anestetizzati e addomesticati gli organismi di garanzia, attraverso l’uso complice di scientifiche tecniche di spartizione; fatto questo, assecondare l’istinto che privilegia il proprio tornaconto diventava facile, di nuovo naturale, legittimato da esempi autorevoli.
In sintesi, lecito e ripetibile. Mancava ancora qualcosa, per non correre rischi: un meccanismo di nomina dei parlamentari che ne garantisse la dipendenza assoluta, così da dotare del potere di vita e di morte politica il designatore. Così fu, ed era appena ieri. Tutto questo è stato realizzato, e senza soverchia fatica. Si può dire, grazie alla inesistenza della controparte – nel pugilato c’è una formula felice, la sconfitta per “scarsa combattività” – , inerte quando si trovava al governo, acquiescente quand’era all’opposizione.
Non va irrisa, ma nemmeno deve produrre illusioni, l’inaspettata proposta di legge presentata in tema di incompatibilità dall’ex segretario del Partito democratico Walter Veltroni, insieme ad alcuni sottoscrittori qualificati, per qualità personale e per la strategica distribuzione lungo l’intero arco delle forze all’opposizione. Nessuna illusione, tutt’al più un lodevole richiamo alla memoria di quello che – per tutti gli elettori non solo di centrosinistra, ma per quelli animati da spirito liberale – , all’inizio di questa era politica sembrava il problema dei problemi.
Nessuna illusione, salvo che a quel primo manipolo decidessero di accodarsi i parlamentari di opposizione, tutti. Salvo, ancora, che quell’iniziativa potesse diventare un punto di contatto, innescare una scintilla che unisse i candidati alla guida del maggior partito di opposizione. Scintilla non scoccata, per ora.
Quel testo, ad una prima analisi, ha il pregio di riproporre un obiettivo tanto auspicato, e il difetto di farlo attraverso una proposta datata, ferma al 1994. Politicamente, un secolo fa. Da allora, il tema del conflitto di interessi ha galoppato vorticosamente, così da apparire difficilmente affrontabile con le ricette di allora. Il tetto patrimoniale per l’esercizio dell’attività politica appare tanto difficile da verificare – depositi in banca, azioni, società, immobili, distribuzione tra consanguinei? –, da risultare velleitario, oltreché anacronistico.
Non è la ricchezza, criterio di censo all’incontrario, a dover allontanare dalla politica, per di più nel paese degli evasori fiscali più incalliti.
Ma quindici anni di incontrollate praterie hanno mutato la natura e le dimensioni del fenomeno, così da trasformarlo da un clamoroso caso singolo a tendenza diffusa, nemmeno più riprovata. Come dimostrano i tanti casi di degrado della deontologia, della missione e dell’etica della politica, equamente distribuiti, disinvoltamente trangugiati, e complessivamente arruolabili dentro lo schema del conflitto di interessi.
Che è almeno di due tipi: quello che potremmo chiamare “di posizione”, strutturale, e quello legato all’uso egoistico dei ruoli ricoperti, contingente. Questo secondo si supera non con formule giuridiche, bensì tracciando il perimetro occupato dagli interessi di parte, e gradualmente restituendo territori, diritti, vantaggi ai legittimi proprietari, i cittadini italiani. In primo luogo, togliendo alla politica quanto possibile delle nomine, da quelle di garanzia – divenute garanzia per l’intangibilità del potere politico – a quelle di gestione: oggi, basta pensare alla sanità, dove l’espropriazione dei diritti dei cittadini – interesse pubblico –, a vantaggio di partiti o singoli politici –interesse di parte – , è grandiosa.
Qualcosa, in tema, sembra venire dall’azione del capo dello stato, il cui campo di intervento si allarga a tutto quanto possa intaccare i principi costituzionali. Quindi, all’articolo 21 della Costituzione e alle svariate implicazioni dello stesso, ad esempio: il che giustifica un richiamo ai responsabili di un procurato danno ai cittadini attraverso la gestione del servizio pubblico televisivo. Un richiamo che non è, ovviamente, rivolto al detentore del conflitto di interessi in materia di informazione e comunicazione, che non gli giova ma non ha questa finalità: ma che agisce su comportamenti di gestori del servizio pubblico quando danneggino un bene pubblico – non foss’altro grazie al canone, ma non solo –,e quindi un interesse collettivo. Il tutto attraverso un uso corretto, anche se aggiornato, dei poteri del supremo garante della costituzione.

* EUROPA - 6 agosto 2009

Letto 436 volte
Dalla rete di Articolo 21