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Articolo 21 - Editoriali
Berlusconi non è come il vino, invecchiando peggiora...
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di Nicola Tranfaglia

Berlusconi non è come il vino. Invecchiando peggiora, invece di migliorare, come invece  capita al Barolo e ad altri celebri vini italiani.
Se ne ha la prova, leggendo le sue dichiarazioni alle agenzie tra ieri ed oggi.
Ieri ha dichiarato che “il 90 per cento della stampa è in mano dei catto-comunisti”. Oggi se le è presa anche con il presidente della Camera, suo alleato Gianfranco  Fini e il suo ministro dell’economia Tremonti, affermando testualmente che in Italia  “non c’è soltanto libertà di stampa ma libertà di calunnia” e che il problema italiano è che “la politica non fa squadra”(attacco a Fini) e “che non possiamo dare la croce ai banchieri”(attacco a Tremonti).
Il Capo dello Stato proprio oggi 8 settembre  ricorda che “la Resistenza diede libertà e dignità al paese; continuità con le battaglie del Risorgimento”.
E’ difficile ricordare, nella nostra storia repubblicana, una divaricazione più radicale tra le parole pronunciate lo stesso giorno dal presidente della repubblica e quelle dette dal presidente del Consiglio.
Sembrano gli esponenti di due Stati diversi e senza la possibilità di comunicare tra loro.
Ma anche nell’opposizione, come stiamo noi dall’aprile 2008, c’è da chiedersi perché Berlusconi torna indietro?
La risposta, a nostro avviso, è più complessa di quel che appare a prima vista.
Qualcuno dice che il leader populista, giunto al massimo del potere, ne è stato inebriato e ormai delira solo contro tutti, preoccupato che si sia aperta la successione a lui all’interno del centro-destra.
Ma non ne siamo del tutto convinti.
Berlusconi ha sempre vissuto alla giornata nel suo lavoro di imprenditore, come in quello di politico.
Non è un caso se proprio lui  sbandiera ogni giorno a chi ancora  lo ascolta i suoi sondaggi (l’ultimo è che avrebbe  il consenso del 68 per cento degli italiani) e ripete, convinto,
che i suoi rapporti con la Chiesa e con il Vaticano sono sempre sereni, malgrado il caso Boffo e le sue conseguenze.
Quanto al giornale della famiglia Berlusconi e ai forsennati attacchi del suo direttore Feltri contro chi non segue passo dopo passo le azioni del capo del governo, c’è soltanto da definirli killer di periferia se appaiono più zelanti del re e precedono le iniziative prevedibili contro chi nel centro-destra vorrebbe una destra democratica e ragionevole.
Tra l’altro la scomparsa improvvisa di Mike Bongiorno a
Montecarlo è dispiaciuta anche a noi. Proprio ora che il notissimo presentatore era stato costretto a lasciare, dopo molti decenni, Mediaset per Sky.
Tornando all’interrogativo iniziale, le ragioni del delirio berlusconiano (sono d’accordo  con l’on. Franceschini che evoca a ragione la dittatura fascista tra i maggiori nemici della libertà di stampa) stanno, a mio avviso, in una sindrome che ha preso il leader populista.
Berlusconi delira perché ha capito che non tutto il PDL può seguirlo se imbocca direttamente la strada di un regime di populismo autoritario.
La verità che tanti, anche nell’opposizione, fanno fatica a vedere (di qui le forti incertezze nel PD ad allearsi stabilmente con l’Italia dei Valori e a pensare seriamente di allearsi con Casini e Cuffaro nelle prossime elezioni amministrative) è che Berlusconi resta profondamente antidemocratico e ritiene che la stampa, come la magistratura, debbano ormai esser ridotte alla ragione dal potere esecutivo.
E da quando, nell’ aprile scorso 2009, ha giudicato che le opposizioni parlamentari  avessero i giorni contati e che si potesse dare ormai la spallata finale, ha pensato di poter attuare l’attacco finale e puntare alla revisione della costituzione che sogna da molti anni e che nel 2005 ha tentato di realizzare con un progetto che piaceva tanto a Licio Gelli e alla non dimenticata Loggia P2, di cui aveva preso già negli anni settanta la tessera numero 1816. 
Sa anche il Cavaliere che il suo ex amico Pier Ferdinando Casini non vorrebbe lasciare il centro-destra e, se gli offrisse consistenti ragioni di scambio sul piano politico e tattico, la cosa si potrebbe anche fare.
Personalmente dubito che l’accordo si faccia facilmente tra Berlusconi e Casini ma il capo del governo è convinto di poterci riuscire e sa, d’altra parte, che il progetto di un grande centro a lui avverso troverebbe serie difficoltà di affermarsi sul piano elettorale.
La verità è che l’ex imprenditore di Arcore è persuaso della sua imbattibilità elettorale ed è disposto a rompere con una parte del suo stesso partito pur di non modificare la linea politica che ha nella Lega Nord di Umberto Bossi l’alleato privilegiato.
Di qui questo atteggiamento, la briglia lunga a Feltri e la lotta ormai aperta con chi nel governo o in parlamento critica le sue parole e le sue azioni. Ma così rischia di andare a sbattere prima o poi, soprattutto se le opposizioni si muoveranno insieme, lasciando da parte ogni lite interna.
www.nicolatranfaglia.com

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