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Articolo 21 - Editoriali
Giornalismo d'inchiesta: Attacchi gemelli, un documentario riflette sui misteri del terrorismo
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di Stefania Limiti

La storia d’Italia, si sa, è piena zeppa di misteri: alcuni si intrecciano con quelli di altri grandi paesi. Giacomo Durzi, un brillante regista della scuola di Giovanni Minoli - già noto per una ricostruzione dell’omicidio di Wael Zwaiter, il dirigente palestinese noto come il ‘poeta’ -  rilegge un fatto tragico che segnò profondamente il nostro paese. Il 27 dicembre del 1985 un gruppo terrorista irrompe nell’atrio dell’aeroporto di Fiumicino, affollato di gente rilassata e pronta alle vacanze, ed apre il fuoco contro chi stava in fila di fronte al banco della compagnia aerea israeliana. Tredici furono i morti e settanta i feriti. Nello stesso momento un gruppo di fuoco entra in azione anche nell’aeroporto di Vienna. Tre morti e quarantasette feriti. Per Italia e Austria, due paesi molto vicini al leader dell’Olp, l’Organizzazione per Liberazione della Palestina, Yasser Arafat, oltre ai lutti, inizia una fase politica di isolamento internazionale da parte dei paesi che condannano le aperture al processo di pace in Medioriente e alla risoluzione pacifica e giusta della questione palestinese. Il regista delle due operazioni fu il noto terrorista Abu Nidal che si servì di giovani inconsapevoli e disperati, lanciandoli verso la morte. Ibrahim Khaled è l’unico superstite del commando di Roma, tutt’ora è detenuto nel carcere romano di Rebibbia, dove si è laureato in Scienze Politiche, e nella ricostruzione di Durzi racconta i fatti di cui fu tragico protagonista. Aveva 18 anni quel venerdì 27 dicembre 1985 quando alle 9 del mattino, assieme ad altri tre compagni, si lanciò verso il vuoto: gli agenti della sicurezza israeliana, appostati ad attendere un attentato, ed è qui che nascono i primi dubbi, di cui erano stati informati, risposero con una potenza di fuoco impressionante. Attacchi gemelli racconta quella drammatica giornata indagando sulle ragioni di una strage dimenticata e di un caso chiuso troppo in fretta. Davvero era impossibile evitare questa strage? Perché la nota del capo del Sismi, il servizio segreto militare, Fulvio Martini che metteva in guardia da possibili attentati contro obiettivi israeliani, individuando anche il luogo, Fiumicino, fu ignorata? Davvero non si poteva risparmiare il massacro di civili inermi? Il documentario ricostruisce la vicenda aprendo interrogativi inquietanti sull’uso di un modulo operativo finalizzato a strumentalizzare azioni terroriste al fine di destabilizzare: proprio come, secondo tanti osservatori, accadde l’11 settembre a New York, nell’attacco alle Torri Gemelle. Ibrahim Khaled dal novembre 2008 è in semilibertà. Di giorno lavora come giardiniere, di sera rientra in carcere. Ha contribuito alle indagini e c’è da sperare che il suo fine pena non lo trascorrerà in un Centro di accoglienza per immigrati, da dove non avrebbe nessuna destinazione perché la sua patria, la Palestina, non è uno stato. Era nato nel caso profughi di Sabra e Shatila, i suoi genitori erano profughi e lui non conosceva altra vita che quella del profugo. La figlia di una vittima della tragedia di Fiumicino, Vinecnzo della Scala, dice che non sa se suo padre è morto per i colpi dei palestinesi o per i proiettili degli agenti israeliani del Mossad e non le importa tanto saperlo. Dice che loro non c’entravano niente con i palestinesi, che suo padre non sapeva niente della Palestina e di Israele ma alla fine Donatella coraggiosamente conclude che “se è successo tutto questo allora, forse, c’entriamo tutti con quella storia”.

Da non perdere, venerdì 11 settembre alle 21 su Hystory Channel

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