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Articolo 21 - Editoriali
«Unâ??altra idea di società è possibile»
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di Pasquale Cascella

da L'Unità

ROMA Il pessimismo della ragione gli fa dire che «è un dibattito davvero povero, angusto, e anche un poâ?? finto quello che si è sviluppato nella prima fase del congresso». Lâ??ottimismo della volontà lo stimola a cogliere il residuo percorso verso le assise di Roma per «uscire dalla visione organizzativa con un più coinvolgente approccio alla politica». Anzi, «alla grande politica». Pietro Barcellona era e resta un intellettuale organico, reso diffidente dallâ??esperienza militante verso una certa sinistra «tanto snob da perseguire la divisione». Eâ?? contro questo disegno che il vecchio professore catanese si è gettato nellâ??arena congressuale dei Ds, prima discutendo con Cesare Salvi lâ??opportunità di presentare una mozione autonoma dal resto della sinistra e, poi, contribuendo a dargli nerbo.
Come definire la terza mozione: più di sinistra?
Non avrebbe senso. Eâ?? di sinistra per il suo coerente richiamo al socialismo, a una identità piena dei Democratici di sinistra, da vivere unitariamente, e non soltanto da declamare o da temere.
Perché anche voi non avete presentato un candidato alternativo a Piero Fassino?
Una candidatura alternativa ha senso se si giudica inadeguata anche la direzione politica. Personalmente credo che Fassino abbia fatto quel che ha potuto, nella condizioni in cui si è ritrovato il partito dopo la sconfitta elettorale del 2001. La nostra mozione vuole essere di stimolo per la convergenza unitaria che lo stesso segretario auspica per il dopo congresso. Magari con quel tanto di provocazione che serve a ricostituire una base più democratica e una più larga partecipazione al rilancio del partito nella società.
Anche se distaccandovi dal resto del cosiddetto correntone, nel quale Salvi aveva affrontato lo scontro di Pesaro, ne è derivato un indebolimento dellâ??intera sinistra interna, come provano i ben più contenuti risultati dellâ??insieme delle mozioni di minoranza nei congressi di sezione?
Non credo proprio che siano i risultati numerici il parametro giusto per valutare il senso politico di questa mozione. Anzi, lo direi, in generale per tutte le mozioni. Un partito non può essere un condominio, men che mai rissoso. E un congresso si fa per definire lâ??indirizzo strategico, quindi deve poter svolgersi con il massimo di libertà dialettica e nella piena trasparenza di tutte le diverse posizioni, per poter poi addivenire a quella che una volta si definiva la sintesi unitaria. Sarò nostalgico, ma nel Pci dove vigeva il centralismo democratico non mi sono mai sentito penalizzato, o peggio: demonizzato, nellâ??esprimere posizioni di dissenso in dibattiti congressuali pure accesi, profondi, veri. Drammatici persino, come le assise della svolta.
Erano altri tempi, in effetti.
A maggior ragione una forza politica che si vuole democratica, radicata nel territorio e aperta ai mutamenti della società, deve vivere le mozioni come il necessario contributo, anche aspro ma niente affatto lacerante o burocraticamente dâ??impaccio, ad un unico dibattito. E, quindi, allâ??unità. Altrimenti, avremmo una astrusa alchimia di partitini personali nello stesso partito. Se non fuori del partito.
Ha intravisto un rischio del genere?
Francamente sì. Per questo ho sostenuto Salvi nel differenziarsi non solo dalla posizione di Mussi, che oscilla un poâ?? di qua e un poâ?? di là, ma anche dalla contrapposizione mistificante tra chi si dice riformista e chi antagonista.
Quale sarebbe la mistificazione?
Potrei dire che entrambi i termini sono ormai squalificati dallâ??appropriazione indebita che ne ha fatto quel maestro della confusione politica che è Silvio Berlusconi, chiamando impunemente riforme quelle che sono vere e proprie controriforme e presentandosi come alternativa alla sinistra nella continuità al vecchio sistema di potere di cui è stato grande beneficiario.
Semmai, una forza di sinistra dovrebbe recuperare e far valere il significato proprio di questi termini...
Non ci riuscirà, certo, con una contrapposizione più nominalistica che politica. Cosa vuol dire essere antagonisti? Una volta avrebbe significato fare la rivoluzione proletaria, ma oggi chiunque sostenesse un tale obbiettivo risulterebbe fuori dal mondo. Allora, vuol dire che si persegue un cambiamento più radicale? Ma questa può essere la qualificazione dellâ??azione non lâ??identità di una forza politica politica. Altrettanto vale per il riformismo, anzi dei riformismi che in effetti si identificano con processi storici, sociali e culturali dei socialisti, dei socialdemocratici, di un certo cattolicesimo e anche di non poche espressioni dei comunisti italiani, lungo una direzione di marcia sostanzialmente unica, per cui il riformismo caratterizzava lâ??uso dei mezzi ma non metteva in discussione lâ??obbiettivo della trasformazione della società. Se, insomma, riconduciamo il dualismo riformismo-antagonismo allâ??epoca in cui viviamo, risulta evidente che si tratta solo di un alibi per non affrontare i problemi concreti da cui pure dipende lâ??alternativa alla più stupefacente associazione privatistica che governi nel mondo.
Ci arriviamo allâ??alternativa a Berlusconi. Prima, però, mi spiega qual è lâ??insidia che la vostra mozione ha inteso scongiurare?
Quando si prefigura, anche se sullo sfondo della mozione di maggioranza, una sorta di partito riformista senza contenuti discriminanti, è scontato che prenda corpo lâ??ipotesi speculare di un partito antagonista più sul terreno verbale che nella pratica quotidiana. Del resto, un tale rischio lo corre anche Alberto Asor Rosa, nel suo appello al Manifesto che mi è parso piuttosto vago. Câ??è bisogno di allargare il partito, non di restringerlo. Di perseguire lâ??unità, non lâ??ennesima spaccatura. Di metabolizzare le diversità, non acutizzare la contrapposizione. E mi dispiace che Fausto Bertinotti, che pure sta conducendo Rifondazione a una interessante riconsiderazione delle responsabilità di una sinistra di governo, si lasci andare a sua volta allâ??idea di organizzare chissà quale movimento antagonista a un sorta di deriva moderata. Mi sembra una disputa da ceto politico. Una società la si cambia solo comprendendone lo stato dâ??animo profondo.
Come giudica la prospettiva della Federazione tra i Ds, lo Sdi e la Margherita?
Non mi appassionano, esattamente come Giorgio Napolitano, le elucubrazioni sui contenitori, le dispute su sigle astruse: Fed o Gad, gli impicci che trasformano i gruppi dirigenti in comitati elettorali ieri per le europee e domani per le regionali.
Napolitano, però, una scelta la compie, quando afferma che la Federazione, in quanto aggregato politico più omogeneo della sinistra cosiddetta antagonista o radicale, serve a dare un asse credibile allâ??alternativa di governo. E lei?
A me interessa la sostanza dellâ??alternativa, non questo o quel marchingegno organizzativo. Mi interessa ragionare sui contenuti dellâ??alleanza politica, di come questa corrisponde alle alleanze sociali e alle sfide che la fase storica ci impone, perché solo entrando nel merito si riesce a comprendere quali sono le reali posizioni, quali valori le animano e se sono da considerarsi antagoniste o moderate.
E se si dovesse trovare di fronte al bivio?
La battaglia che si deve fare è per non arrivare a un tale bivio, bensì riaffermare lâ??identità propria, politica e sociale, della sinistra. Questo nostro partito â?? vorrei dire ad Asor Rosa e anche a qualche compagno del correntone â?? può diventare sempre più moderato se tutti quelli che hanno unâ??altra visione della sua ragione storica non lâ??affermano con la criticità necessaria, con il retropensiero di poterlo andare a fare da unâ??altra parte. A me non sembra giusto. E nemmeno utile regalare a una posizione più moderata personalità, che so come Livia Turco o Gavino Angius, scambiando la loro indubbia impronta socialdemocratica per cedimento. Avrò con loro mille ragioni di dissenso, ma sento che apparteniamo allo stesso ceppo genetico.
Veniamo al punto della costruzione dellâ??alternativa. Il ritorno sulla scena politica di Romano Prodi può essere condizionato dal fantasma della rottura del 1998 con Rifondazione?
Assolutamente no. Lâ??alleanza deve fondarsi su un chiaro accordo politico, non più soltanto elettorale. Per questo il confronto sui contenuti è decisivo. E non vorrei che si cercasse soltanto di aggregare lâ??alleanza come una corte di â??Grandi Dignitariâ?.
Addirittura: cosa glielo fa pensare?
Cosa dovrei pensare quando vedo rincorrere le primarie come a cercare una leadership autonoma dai partiti? Intendiamoci, io non ho nulla contro le primarie, ma se sono come negli Usa: un confronto tra candidati dello stesso partito, ciascuno con specifiche idee, progetti, rappresentazioni della comune battaglia da vincere. Nel nostro caso, parliamo pure di candidati dello stesso schieramento, ma ritenere che le primarie esauriscano la battaglia delle idee solo tra Prodi e Bertinotti a me pare una cosa buffa. Bisognerebbe stimolare altri a candidarsi, perché siano primarie vere, che servano a dare una motivazione forte di mobilitazione e partecipazione a una grande politica.
Il maggiore valore dellâ??alleanza politico-programmatico non basta?
Certamente non basta opporre i tre no pronunciati da Prodi al Palalido di Milano. Si può anche vincere contro Berlusconi, additando tutte le sue malefatte: che è un disastro al governo, che è sfuggito al giudizio della magistratura grazie alla prescrizione, che fa leggi per se e i suoi collaboratori condannati per i peggiori reati. Ma noi dobbiamo vincere non solo su Berlusconi ma anche, se non soprattutto, sul modello berlusconiano della società. Berlusconi va battuto non perché è indiziato della corruzione delle tangenti, ma perché ha corrotto la società facendo dilagare lâ??illegalità, ha devastato il paese con le sanatorie dellâ??abusivismo, ha impoverito la cultura, deresponsabilizzato i cittadini, distrutto il senso del bene comune. Câ??è da mettere in campo una colossale riforma, morale e civile oltre che politica: ricostruire il tessuto collettivo del paese, restituire alle nuove generazioni il futuro rubato, riprenderci tutti la responsabilità della vita individuale e collettiva. So bene che quando dico queste cose rischio di passare per utopista, ma anche lâ??utopia dà senso alla vita.
Ma come far incrociare lâ??utopia con la realtà?
Cominciamo a chiederci se la realtà di questa scuola, questa sanità, questo ambiente, questo welfare, questo Mezzogiorno corrisponde ai bisogni, ai diritti, alle possibilità, alle speranze di un paese che si vuole civile, sviluppato e moderno. Se non lo è, e non lo è, allora il problema non è soltanto di quanto Pil si crea, ma della ricchezza delle idealità con cui delineare un orizzonte di libera creatività, di autonomia e di fiducia nel futuro.
Ideali dibattuti, comunque. Lâ??Europa, per dire. Pur essendo una meta a lungo inseguita da tanti esponenti della sinistra, al dunque ha visto una parte del Partito socialista francese osteggiare la nuova Costituzione. Una posizione, questa, che Salvi ha in qualche modo avallato, ma che è stata battuta nel referendum interno al Psf. Questione chiusa?
Sono talmente convinto che lâ??Europa sia una grande idea da dire una cosa perfino retorica: che sia una idea per la quale vale la pena combattere e morire, perché unâ??Europa unita, forte, salda può essere la salvezza di questo pianeta. Ma quella che si sta facendo non è questa Europa in cui credo, anche se, in un referendum anche da noi, personalmente voterei sì, perché comunque è meglio questa Costituzione che niente. E però ho troppa stima per Giuliano Amato per ritenere che questa risultante delle convenienze e dei veti sia lâ??Europa in cui anche lui crede. No, câ??è ancora da combattere opportunismi e chiusure nazionalistiche. E câ??è sempre da battersi per unâ??Europa libera, aperta, plurale se vogliamo che abbia un ruolo strategico per il recupero di quellâ??equilibrio mondiale compromesso dalla guerra preventiva e dallâ??unilateralismo arrogante degli Usa.
Anche la pace appare una utopia quando finisce per collidere con il dovere â?? tanto dal governo quanto dallâ??opposizione â?? di contribuire a un nuovo ordine internazionale. Condivide lâ??idea che sia lâ??Onu il punto di coagulo della responsabilità dellâ??uso della forza?
In effetti, non può esserci altro arbitro della legalità internazionale che lâ??Onu. Ma quale Onu? Eâ?? impensabile che lâ??Onu strapazzata e umiliata dallâ??avventurismo e dalla falsificazioni, dai trucchi e dalle manipolazioni dellâ??opinione pubblica da parte di Bush, Blair e Berlusconi possa efficacemente far valere la sua autonomia. Questo ruolo è da recuperare con una riforma capace di determinare davvero nuove garanzie di sicurezza e di pace, costruendo un ordine mondiale policentrico.
Qual ritiene essere, oggi, la discriminante ideale più bruciante?
Credo che si veda poco il nesso fra grande politica e governo della vita, fra biotecnologia e partecipazione politica democratica alle grandi decisioni che ci aspettano nei prossimi anni. Ã? troppo banale restare fermi alla contrapposizione fra laicismo e religione.
E la modernizzazione può essere vissuta come un valore? Insomma, la â??missione socialeâ?, con cui la terza mozione si caratterizza, non rischia di esaurirsi nella conservazione dellâ??esistente a fronte dei tumultuosi cambiamenti in atto?
Enrico Berlinguer ci ricordava che in certi momenti essere conservatori significa essere rivoluzionari. Oggi câ??è una grande modernità nella sinistra dei valori e della solidarietà. Non parliamo certo di scuola, ospedali e di trasporti statalizzati, ma di beni collettivi da ottimizzare. Né concepiamo il welfare come mero assistenzialismo e protezionismo, bensì come appuntamento con il futuro. La stessa stabilità del lavoro per le nuove generazioni ha poco a che fare con il posto fisso, ma molto con lâ??interesse generale a non disperdere le competenze con la precaricarizzazione, specie al Sud. Insomma, contrastiamo il liberismo selvaggio, il fai da te individualistico, lâ??edonismo consumistico, lâ??amministrazione barbara della società con una visione progredita della vita collettiva. Come ha scritto Alfredo Reichlin bisogna ridare al paese una prospettiva generale per uscire dal disastro e dalla frustrazione in cui vive la grande maggioranza degli italiani. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che ci vuole più Stato e più mercato e che bisogna di nuovo coltivare la speranza di una società diversa, più sicura e più coraggiosa.

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