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Articolo 21 - Editoriali
Il “papello” c’è e prova la trattativa Ciancimino consegna una copia del documento redatto da Riina
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di Lorenzo Frigerio

desso sembra che siamo arrivati finalmente ad un punto di non ritorno nella ricostruzione della tragica estate di sangue e dolore del 1992. Se fino a questo momento si era potuto favoleggiare sulla sua esistenza o meno, finanche dopo le ultime rivelazioni della scorsa settimana ad “Anno Zero” e le successive dichiarazioni rilasciate dai protagonisti di quelle vicende, ora a confermare l’esistenza di una trattativa tesa a chiudere la stagione delle stragi arriva la cosiddetta prova regina, il famigerato “papello” di Totò Riina, consegnato poche ore fa ai magistrati siciliani dall’avvocato di  Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo, un tempo potente leader democristiano e, poi sul finire della sua vita, fulcro della contrattazione vera e propria tra le istituzioni e la mafia.
Ancora qualche giorno fa, da Firenze, il magistrato Antonio Ingroia aveva dichiarato: “una serie di risultanze ci fanno credere che il papello esista. Sapremo presto se riusciremo a venirne in possesso. Se si dovesse trovare il papello sarebbe la prova tangibile che la trattativa fra mafia e Stato non solo è esistita ma anche iniziata. Non sarebbe la fine ma l'inizio delle indagini per scoprire fino a che punto è arrivato quel tentativo”.
Ora il documento in questione c’è, ed è stato fornito in copia alla Procura della Repubblica di Palermo: si attende ora l’originale prima di inoltrarlo al vaglio dei periti e alla Procura di Caltanissetta che ha riaperto le indagini sull’uccisione di Paolo Borsellino.
Il cosiddetto “papello” non è altro che un semplice foglio di carta che contiene, scritto a mano ed in stampatello, l’elenco delle richieste avanzate dai boss allo Stato, in cambio di una nuova pax mafiosa. Il foglio dalle mani di Riina sarebbe transitato in quelle del boss Antonino Cinà, che lo avrebbe recapitato a Massimo Ciancimino, perché fosse suo padre a consegnarlo ai carabinieri del ROS, il colonnello Mori e il capitano De Donno. E di questa avvenuta consegna nelle mani di Mori vi sarebbe testimonianza in un post-it allegato al foglio in questione. Su questo delicato punto sono previsti ulteriori accertamenti, anche perché i due ufficiali hanno sempre negato l’esistenza di un qualsiasi documento del genere.
Uno dei primi a parlarne fu Giovanni Brusca, il boia che premette il pulsante che fece detonare l’esplosivo sull’autostrada che costò la vita a Falcone e agli altri il 23 maggio.
Vediamo in sintesi i dodici punti, così come è stato possibile ricostruirli sommariamente in attesa di vedere questo documento nella sua versione originale.

1. Revisione della sentenza del maxi processo
2. Abolizione della legislazione sui “pentiti”
3. Revisione della legge sulla confisca dei beni
4. Annullamento del decreto contenente l’art.41 bis
5. Revisione della legge Rognoni - La Torre
6. Introduzione per i condannati per mafia dei benefici legati alla dissociazione
7. Chiusura delle supercarceri di Pianosa e dell’Asinara
8. Abolizione della censura sulla corrispondenza postale con i familiari
9. Trasferimento nelle carceri vicine alle famiglie
10. Arresti per mafia solo in flagranza
11. Arresti domiciliari per gli ultrasettantenni
12. Defiscalizzazione della benzina in Sicilia

Sgrammaticature e ingenuità costellerebbero l’originale. Ne segnaliamo una su tutte che può strappare un sorriso amaro: “fragranza” anziché “flagranza” per definire l’unico arresto possibile secondo i boss mafiosi. Mentre la defiscalizzazione della benzina, sulla falsariga di quanto avviene in altre realtà a statuto autonomo, sembra essere più una mossa elettorale ad effetto, per accattivarsi la simpatia dell’opinione pubblica. Anche su questi ed altri elementi si rende necessario il vaglio di periti esperti che possano datare esattamente il documento e soprattutto comprovarne l’origine.
Il riferimento all’abolizione del decreto contenente l’articolo 41 bis sarebbe l’elemento fondamentale che porta a far risalire la data dello scritto al mese di giugno 1992, quando non vi era ancora stata la conversione in legge della previsione del regime detentivo differenziato per gli affiliati alle cosche.
Solo accertate queste fondamentali premesse, si potranno disporre le ulteriori indagini tese a verificare quale fu l’esito della trattativa. Di sicuro c’è che dopo l’uccisione di Borsellino, i boss spinsero in avanti la loro strategia di violenza, fino ad arrivare nel 1993 in continente con le stragi a Roma, Milano e Firenze. E solo dopo queste ulteriori ferite al Paese, arrivò uno stop alla stagione di sangue voluta per reagire alla sentenza della Corte di Cassazione che sanciva le condanne del maxi processo e, contemporaneamente, sancire la fine di un’era di pacifica coabitazione, solo interrotta lugubremente dagli omicidi di quanti non rispettavano questa sorta di pax imposta.
Dodici punti quindi, dodici proposte per arrivare ad una tregua tra le istituzioni e la mafia. Quei dodici punti sono molto probabilmente, per non dire sicuramente, l’origine principale dell’accelerazione dei preparativi della strage di via D’Amelio. Paolo Borsellino, infatti avrebbe reagito sdegnosamente all’ipotesi di arrivare ad un accordo con gli assassini del fraterno amico e collega di sempre, Giovanni Falcone, ucciso il 23 maggio dello stesso anno a Capaci, lungo lo svincolo dell’autostrada che porta a Palermo. E avrebbe pagato con la vita lui e gli agenti di scorta quel pomeriggio di luglio del 1992.
Sul suo sito web “L’Espresso” ha pubblicato in queste ore alcune fotografie di una sorta di “papello bis”, cioè un ulteriore allegato, costituito dalle osservazioni scritte a mano dallo stesso Vito Ciancimino, tese ad ammorbidire in parte le richieste mafiose perché potessero essere prese in considerazione dallo Stato. Su questi fogli è possibile anche individuare i nomi di Mancino e Rognoni, già ministri dell’Interno del nostro paese.
Nicola Mancino, oggi vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, continua a negare l’esistenza di una trattativa, anche nel corso di questa settimana quando l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli e la più stretta collaboratrice di Giovanni Falcone, Liliana Ferraro, hanno ripetuto ai giudici di Caltanissetta quanto dichiarato dal primo nel corso della trasmissione di Santoro andata in onda la settimana scorsa e cioè che De Donno avrebbe detto alla Ferraro della trattativa, suscitando la reazione di lei che avrebbe chiesto di riferirne a Borsellino, provvedendo poi ad avvisarlo personalmente di quanto si stava facendo a sua insaputa.
Restano ancora molti dubbi, in attesa di verificare la verità storica rappresentata nel “papello”.
Perché Massimo Ciancimino sembra distillare goccia a goccia le vicende di cui è a conoscenza? Perché Martelli e Ferraro non hanno confermato prima di oggi la visita di De Donno in cui si raccontava della trattativa in essere?
Perché Mancino fu chiamato a sostituire Vincenzo Scotti alla guida del Viminale, mentre Martelli fu confermato al suo posto dal nuovo presidente del Consiglio Amato?
Perché Mancino, Mori e lo stesso De Donno continuano a negare l’esistenza di una trattativa?
Sono solo alcuni dei perché ai quali occorre rispondere per arrivare ad una verità che oggi, forse, sembra più vicina.

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