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Articolo 21 - Editoriali
Non si vince con un leader dimezzato
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di Claudio Rinaldi

da L'Espresso

Se la Gad conferma Romano Prodi, ecco quattro condizioni per lanciarlo nella sfida a Silvio Berlusconi.
Forza Silvio! Poche storie: è all'insegna di questo slogan, fresca invenzione del populismo all'italiana, che il tormentato 2004 si è chiuso. Un Berlusconi in rimonta nei sondaggi, dopo la débâcle alle elezioni europee di giugno, non se l'aspettava nessuno. E a propiziare la svolta, altra sorpresa, sono stati non tanto i taglietti delle aliquote Irpef-Ire quanto il modo e il contesto in cui essi sono stati presentati. Da un lato, infatti, il premier ha esaltato gli sgravi futuri più di quelli appena deliberati, tornando alla politica delle mirabolanti promesse già vittoriosa nel 2001; dall'altro ha pacificato il suo schieramento regalando ad An e Udc una manciata di ministeri. Così la destra ha ritrovato un obiettivo chiaro e suggestivo, la rivoluzione fiscale, ma soprattutto un capo. Che ora è in grado di ottenere dai seguaci un'obbedienza cieca, pronta e assoluta, come ha mostrato da ultimo il coro dei sì alla legge salva-Previti.
Nel centro-sinistra, invece, da mesi regnava la sciocca convinzione che Berlusconi si stesse rovinando con le sue mani per l'incapacità di governare. Romano Prodi & C. si sentivano in tasca il trionfo nelle urne, al punto da chiedere lo scioglimento anticipato delle Camere. Illusi. La controffensiva dell'avversario li ha colti alla sprovvista: immersi in litigi meschini, privi di programma, incapaci perfino di denunciare con efficacia il carattere truffaldino della riduzione di imposte sbandierata da Palazzo Chigi.
C'è voluto un titolo del compassato 'Sole 24 Ore', il 16 dicembre, perché venisse alla luce il vero contenuto della manovra sulle tasse: 'Sgravi per 5,7 miliardi di euro, rincari per 8,2'. Su questi eloquenti numeri i big dell'Ulivo avrebbero dovuto promuovere per tempo una campagna martellante. Niente. Si sono limitati a far balenare un loro contropiano fiscale, ridicolo, e subito dopo l'hanno cestinato.
Quel che è peggio, però, è che l'inerzia e la sciatteria hanno inferto duri colpi all'immagine dello stesso Prodi. Inutile nasconderselo: il rientro del professore da Bruxelles, a lungo invocato come l'ora X di un'immancabile riscossa, è stato disastroso. Per settimane il centro-sinistra si è trascinato da un vertice all'altro senza decidere alcunché. Le primarie da cui Prodi sognava di farsi incoronare candidato premier sono rimaste una chimera. La federazione dei riformisti si è suicidata. I Ds si sono persi nella preparazione del loro inutile congresso di febbraio, la Margherita nella ricerca futile di una sua visibilità: addio listone Uniti nell'Ulivo in tutte le Regioni. Piero Fassino e Francesco Rutelli, in compenso, si sono spartiti i posti di aspirante governatore fino a rischiare la rivolta di Udeur e Rifondazione. Intanto Prodi si è scoperto sempre più solo: Massimo D'Alema lanciava a sua insaputa proposte di riforma elettorale, Walter Veltroni gli spiegava ex cathedra come battere Berlusconi, Giuliano Amato auspicava per il centro-sinistra una guida collegiale... Quando il reduce dall'Ue si è permesso una battuta sui giovani mercenari di Forza Italia, il 4 dicembre, nessuno dei suoi presunti amici ha speso una sillaba per difenderlo dagli insulti della destra.
Questo non significa che la Grande alleanza democratica sia ormai destinata a perdere: Berlusconi è tuttora debole, e gli stipendi di gennaio metteranno a nudo la pochezza dei famosi tagli dell'Ire. Ma il centro-sinistra è chiamato nel 2005 a un radicale cambiamento di stile se vuole conservare qualche chance di successo.
Per i vari sottocapi non c'è che un'alternativa. Se non si fidano più del comandante supremo che hanno scelto, viste le sue incertezze, si assumano la responsabilità di sostituirlo; se al contrario preferiscono tenerselo, lavorino senza riserve per rafforzare la sua leadership.
Nel primo caso, via con le primarie e vinca il migliore. Nel secondo, è essenziale che ciascuno si ponga a completa disposizione di Prodi: 1. rinunciando ai protagonismi estemporanei che a Prodi fanno ombra; 2. lasciandogli la parola conclusiva sulle questioni cruciali; 3. bloccando la telenovela delle riunioni infruttuose che lo logorano; 4. facendo quadrato intorno a lui quando è sotto attacco quali che siano gli oggetti del contendere.
Comportamenti simili sono un grosso sacrificio per chi si ritiene più in gamba di Prodi, e magari si sente il custode di una diversità irrinunciabile. Ma al Berlusconi ghe-pensi-mi non si può opporre uno sfidante dimezzato: se un leader non viene trattato come un leader dai compagni di avventura, è difficile che sia riconosciuto tale dagli elettori. E a conti fatti i gesti di generosità dei singoli possono anche rivelarsi la sublime astuzia di un'intera coalizione.

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