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Articolo 21 - Editoriali
Lâ??orrore nellâ??epoca della sua riproducibilità
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di Beppe Severgnini

da Corriere

Quaranta mesi: dallâ??11 settembre 2001 al 26 dicembre 2004. Dalle Torri Gemelle allo tsunami. In mezzo, le decapitazioni, le autobomba, Beslan. Tutte cose che abbiamo visto: non ci siamo limitati a immaginarle. Fino a pochi anni fa i media ci pensavano non una, ma dieci volte, prima di mostrare un corpo senza vita. In queste ore, cataste di morti ci aspettano allâ??edicola; cadaveri allineati come pupazzi aprono i telegiornali. Manca la morte alla radio: arriverà. Non sto protestando: prendo atto. Cambia il senso del pudore; era inevitabile, forse, che cambiasse il senso dellâ??orrore. Pensate alla fotografia pubblicata ieri da molti giornali (compreso il Corriere della Sera ): una lunga fila di corpi nudi sulla sabbia bagnata di Khao Lak, in Thailandia. Per una frazione di secondo il cervello vede una spiaggia estiva; ma subito sâ??accorge delle posizioni innaturali, delle braccia ritorte, dei gonfiori sospetti. Eâ?? la morte a colori, e arriva anche in vacanza.
Lâ??ho scritto dopo le giornate di Beslan: bisogna guardare il mostro negli occhi. Mi chiedo però se al mostro non stiamo facendo lâ??abitudine: pensiamo di averlo addomesticato, ma non è così. Câ??è un mostro umano, che uccide bambini, che decapita e se ne vanta; e câ??è un mostro naturale, che sposta Sumatra trenta metri a sud-ovest e affoga decine di migliaia di persone. Entrambi ci accompagnano da sempre; ma le conseguenze sono rimaste a lungo nascoste. Un campo di battaglia durante la Guerra Civile americana lo vedeva chi câ??era; poi diventava materiale per pittori, romanzieri e lettere a casa. Le cose, nel ricordo, si sfumano; il sangue, nei quadri a olio, si nota appena.
Molte tragedie moderne sono invece pubbliche. Ci sono i satelliti della Tv e gli aerei per far arrivare le telecamere; ma bastano un cellulare, una videocamera amatoriale e un collegamento internet. Tutto è riproducibile, anche lâ??orrore: in fretta e a basso costo. La novità è che abbiamo deciso di riprodurlo. Servirà a svegliarci? A rendere sempre e comunque ingiustificabile unâ??autobomba? A ribellarci ai ricatti del terrorismo? O, magari, a installare boe-sensori per anticipare gli tsunami? Eâ?? una speranza doverosa, perché altrimenti dovremmo pensare che la fantasmagoria dellâ??orrore è solo lâ??ultimo trucco della società dello spettacolo. Guai se fosse così. Dobbiamo credere, invece, che ci sia sempre umanità in chi gira, scatta e pubblica certe immagini. E, insieme, un briciolo di pedagogia, utopistica e preterintenzionale. Lâ??autore della straordinaria fotografia che occupava ieri metà della terza pagina del Corriere - una giovane indiana si dispera davanti al corpo di un congiunto su una spiaggia a sud di Madras - ha imitato i pittori di cinque secoli fa: quello scatto sarebbe stato un dipinto, Maria sotto la Croce. I cameramen che hanno filmato le persone che andavano a morire scendendo come coriandoli dalle Torri Gemelle, e i militari che hanno ripreso le azioni dei commilitoni nella prigione di Abu Ghraib, non lâ??hanno fatto a cuor leggero. Di sicuro volevano dire: «Mai più».
Purtroppo non eviteremo un altro tsunami perché abbiamo osservato file di cadaveri sulla spiaggia di Khao Lak; ma saremo più preparati. Non sconfiggeremo il terrorismo perché abbiamo visto di cosa sono capaci i terroristi; ma da quelle immagini è iniziata la loro sconfitta. Molte cose terribili sono accadute nel mondo perché nessuno vedeva: pensate ai lager, ai gulag, al genocidio armeno, al trattamento dei curdi iracheni, alle sparizioni argentine, ai «killing fields» cambogiani, a tante tragedie africane. Vedere vuol dire non aver più scuse per non sapere. Per questo delle guerre moderne ci viene mostrato così poco. Perché un missile è uno tsunami di fuoco. Perché se vedessimo cosa lascia sul terreno - se guardassimo quei corpi squarciati - diremmo: «Mai più».
www.corriere.it/severgnini

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