Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - ESTERI
Si sta offuscando la stella di Zapatero?
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Ettore Siniscalchi

Si sta offuscando la stella di Zapatero?

Si sta offuscando la stella di Zapatero? La crisi economica e gli errori, politici e di comunicazione, suoi e del governo, pesano sulle spalle della grande speranza della sinistra spagnola (e di molti elettori europei, delusi dai loro partiti).
 
Prima, il socialismo ciudadano di Zapatero si imponeva come modello vincente delle socialdemocrazie europee, l’economia andava, si annunciava il sorpasso del Pil procapite sull’Italia, la locomotiva spagnola correva, l’umore era buono. E ora? Nella realtà, quella spagnola è un’economia debole. L’industria del paese è ridotta e localizzata territorialmente (presente praticamente solo in Catalogna e nei Paesi baschi). Soprattutto, è enormemente sbilanciata, il solo comparto dell’edilizia produce quasi il 18% del Pil spagnolo e un’altra fetta consistente è data dal turismo (altra voce colpita dalla crisi mondiale). I livelli di occupazione, poi, sono sempre stati tra i più bassi dell’Europa occidentale, davanti solo a Grecia e Portogallo, con quote da sempre a due cifre, e larghissimo utilizzo di contratti temporanei e precari.

Bisogna inoltre dire che l’economia spagnola è stata gestita in perfetta continuità negli ultimi vent’anni. La politica economica dei governi Aznar non è stata altro che il prosieguo della politica di risanamento impostata da Pedro Solbes durante l’ultimo governo socialista. Poi, Solbes, dopo la parentesi come commissario europeo, è tornato a guidare l’economia del paese come ministero di Economia e finanza e vicepresidente economico del primo e del secondo governo Zapatero, fino allo scorso aprile, quando ha abbandonato l’incarico per essere sostituito da Elena Salgado, nel corso di un profondo rimpasto di governo.

Questo è il quadro da cui bisogna partire, sul quale è calata la crisi mondiale, cominciata col crollo dei muti subprime (quel meraviglioso meccanismo per cui l’insolvenza di un signore di Detroit si è materializzata nelle tasche, anzi nel portafoglio finanziario, del signor Rossi italiano). Ma la crisi immobiliare, in Spagna, era già cominciata. L’industria del mattone è stata spinta in maniera irresponsabile, soprattutto negli anni ‘90. Un meccanismo determinato anche dagli alti livelli di autonomia delle amministrazioni locali che, in mancanza di meccanismi compensativi, hanno potere assoluto sui territori amministrati.

I comuni, sempre bisognosi di soldi (per tacere qui della corruzione) li hanno raccolti consentendo urbanizzazioni selvagge, sulle coste ma anche nei centri vicini alle grandi città. La buona rete di collegamenti locali di alcune regioni, infatti, ha favorito il fenomeno dell’allontanamento dalle metropoli e il pendolarismo, in cerca di costi ridotti e migliore qualità della vita. Sono sorti così insediamenti abitativi per migliaia di persone – per i quali i comuni hanno incassato gli oneri di urbanizzazione – gli spagnoli sono stati invogliati a divenire piccoli proprietari, i mutui sono stati erogati in abbondanza. Adesso, il mercato è saturo (ci sono almeno 500mila vani invenduti), gli spagnoli sono gli europei più indebitati per i mutui, chi ha comprato ha perso già una quota considerevole del valore dell’immobile.

La crisi occupazionale è iniziata qui, nell’edilizia, e da almeno due anni, coinvolgendo dapprima i lavoratori stranieri, molto presenti nell’edilizia, che hanno cominciato, chi poteva, a rientrare nei loro paesi per investire lì quanto era riuscito a mettere da parte. Il tasso di disoccupazione è salito, secondo i dati Ocse, al 19,5%, il doppio della media dei paesi industrializzati, pari a oltre 4,3 milioni di disoccupati. Cifra che comporta un costo, quanto ad ammortizzatori sociali di diversa natura, che renderà più difficile il rientro di Madrid negli standard europei entro il 2013. Poi c’è la crescita del “rischio paese”: nonostante il rating Moody’s sia ancora alla tripla A, il debito spagnolo (171 punti Cds: credit default swap, il costo per assicurarsi dal caso di default dell’emittente) è visto come maggiormente a rischio rispetto a Polonia (157) e Messico (152). L’aumento della spesa per interessi sul debito dovuto al calo della fiducia nella Spagna costerà ulteriori 500 circa euro l’anno per ogni spagnolo.

Insomma, questo è il quadro, per nulla entusiasmante. Aggravato da come hanno agito il governo e Zapatero. Prima negando l’esistenza della crisi e parlando eufemisticamente di «decelerazione», poi agendo in maniera contraddittoria. Per esempio, lanciando negli Usa l’idea di una modifica dell’età pensionabile, come fosse una decisione presa, per fare rapidamente marcia indietro, «solo un’ipotesi di lavoro», una volta arrivata la reazione ostile dei sindacati. La pace sociale è stata uno dei punti di forza di Zapatero, anche perché, sia nella scorsa legislatura che nell’attuale, si è trovato a guidare un governo di minoranza, quindi nella necessità di mantenere una bassa conflittualità sociale. In sei anni di governo non c’è stato un solo sciopero generale e i rapporti con le parti sociali sono molto buoni. Lo spettro da cui Zapatero fugge è quello degli scontri coi sindacati che caratterizzarono le, necessarie, riforme economiche dei governi González. Il mantenimento della base sociale dei votanti del Psoe, che Zapatero è riuscito a riconquistare, è un asse della sua politica.

Adesso che la realtà non è più occultabile, il governo pare essersi finalmente scosso. Giovedì il ministro dell’Economia, Elena Salgado, è volata a Londra per incontrare la direzione del Financial Times, molto critico nei confronti del governo socialista, e convincere la City della solidità dell’economia spagnola e delle misure di controllo del deficit annunciate da Zapatero. Si tratta di recuperare la fiducia degli investitori e di contrastare le parole di Joaquín Almunia, commissario Ue agli Affari economici e monetari che, paragonando l’economia spagnola a quelle greca e portoghese, ha favorito il crollo di borsa del 4 febbraio scorso, con l’Ibex a -5,94%. Per quanto Almunia sia stato improvvido – e ormai sia chiaro che l’Euro si trova ad affrontare la prima speculazione al ribasso della sua giovane vita – in queste occasioni comunicare forza e chiarezza riguardo alla natura dei problemi e al tipo di decisioni da prendere per affrontarli, è fondamentale. E il governo prova ora a farlo, varando una serie di misure di riduzione della spesa all’interno di un piano di austerità che raprresenta una svolta rispetto alla politica seguita sin ora.

Si prevedono tagli per circa 50mila milioni di euro in tre anni (2010-2012) che coinvolgeranno tutte le voci di spesa, eccetto quelle sociali («Per proteggere i più deboli», ha detto Zapatero), per l’educazione, per la ricerca e lo sviluppo, considerate strategiche per il futuro del sistema-paese. Obiettivo dei tagli è quello di rispettare il Patto di stabilità dell’Ue che esige un deficit pubblico al di sotto del 3% del Pil nel 2013 (ora è attorno al 10%) ma soprattutto per rinnovare la credibilità dell’economia spagnola all’estero. Inoltre, Zapatero ha annunciato un piano per riformare il mercato del lavoro, riducendo il ricorso ai contratti temporanei in favore di quelli a tempo indeterminato. Per farlo intende modificare il calcolo dell’indennità di licenziamento, dagli attuali 45 giorni per anno lavorato a 33. Una misura che, affiancata alla legge già in vigore che rende obbligatoria l’assunzione del lavoratore al terzo anno di contratti precari, vuole ridurre drasticamente il ricorso alla contrattazione temporanea.

Zapatero, insomma, sta tentando un percorso che prevede, da un lato, il varo di una serie di misura “di sinistra” per affrontare la crisi; dall’altro, la riduzione delle spese per tranquillizzare i mercati e le società di rating. Su tutto incombono le prossime elezioni politiche, che si terranno tra due anni. Col Psoe che ancora non ha deciso se ripresenterà Zapatero o un altro candidato, mentre calano gli indici di gradimento del capo del governo, il Partido Popular sopravanza il Psoe di quasi sei punti nelle intenzioni di voto. Anche se il leader popolare, Mariano Rajoy, gode di bassisima fiducia da parte degli elettori che non lo considerano un’alternativa affidabile.


Letto 6521 volte
Dalla rete di Articolo 21