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Articolo 21 - Editoriali
Storie che non fanno storia, notizie che non fanno notizia
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di Valter Vecellio

Storie che non fanno storia, notizie che non fanno notizia. Kafka rischia di apparire un dilettante. La denuncia è di un senatore, Salvo Fleres. L’altro giorno, intervenuto al Senato, si è appellato al presidente di turno perché il ministro della Giustizia risponda ad una sua interrogazione del 19 novembre scorso. Vero che è tempi della giustizia sono lenti, ma qui si esagera. Perché il senatore Fleres denuncia un fatto gravissimo, che dovrebbe mobilitare e inquietare; mentre a quanto pare nessuno è inquieto e si mobilita.
   I fatti, come il senatore li racconta nella dettagliata interrogazione del 19 novembre 2008 e che attende risposta: nel carcere di Brucoli, provincia di Siracusa, c’è un detenuto, il signor Salvatore Grasso, deve scontare una pena di 26 anni di carcere perché ritenuto colpevole di aver commesso un omicidio il 13 agosto 1986 a Wolfsburg in Germania.
   Non è Grasso l’assassino: “Il signor Agatino Di Bella, anch’egli condannato, ma con un notevole sconto di pena, per il medesimo omicidio, ha escluso, come emergerebbe dagli atti giudiziari, che Salvatore Grasso abbia partecipato all’omicidio, avendogli scritto, altresì, una lettera nel 1998, nella quale si scusava per non aver parlato prima”.
   Non solo: Di Bella è già stato scarcerato grazie alla sua confessione e per la sua buona condotta; come risulterebbe dagli atti processuali Salvatore Grasso non è stato indicato da alcuno come compartecipe del delitto e, anzi, è stato scagionato, oltre che dal signor Di Bella, anche da altri testi; Salvatore Grasso, il quale non ha mai confessato un delitto che dichiara di non aver commesso, si trova nella condizione di essere ancora detenuto e, pur avendo la possibilità di lavorare come tipografo, con autorizzazione del magistrato di sorveglianza di Siracusa, gli viene persino negata la semilibertà per pericolo di fuga, nonostante egli goda da tempo di permessi premio dai quali rientra puntualmente, tenendo una condotta irreprensibile; per fare valere la propria innocenza Salvatore Grasso ha presentato ricorso all’Alta Corte di giustizia europea per la violazione dell’articolo 9, comma 1, del codice penale, ritenendo nullo il mandato di cattura emesso nei suoi confronti, e dell’articolo 3 della Costituzione, sentendosi ingiustamente discriminato per aver subito un trattamento diverso rispetto agli altri coimputati”.
   Per ricapitolare: una persona è in carcere accusata di un delitto che ha commesso un altro, che ha confessato e ha già finito di scontare la pena, ed è uscito.
   A parte la follia – non si riesce a immaginare un altro termine – della vicenda, e l’irrisarcibilità del danno che continua a subire il signor Grasso, è “normale” l’inerzia del ministero della Giustizia e il silenzio del ministro? Forse sì, a ben vedere. Ma è ugualmente sconcertante sapere che la situazione ancora non è stata sanata, e che nulla si sia fatto per individuare le responsabilità dell’accaduto. Il senatore Fleres nella sua interrogazione chiede di sapere se il Ministro in indirizzo intenda disporre un’ispezione presso gli Uffici giudiziari competenti, volta a verificare quanto descritto e ad accertare le eventuali responsabilità ed i colpevoli ritardi nell’applicazione, in favore del signor Salvatore Grasso, dei provvedimenti che lo scagionino definitivamente restituendolo alla famiglia ed alla libertà e, nelle more, del regime di semilibertà.
   Silenzio anche in questo caso; ed è una vergogna. Senza “se” e senza “ma”.
   L’altra storia, semplicissima, nella sua tragicità, ma non meno grave e certamente meritevole di ben di più degli scarni trafiletti in cui la si è voluta relegare sui giornali. Siamo dunque a Messina; Un ragazzino di quattro anni, un Rom di origine romena, mentre sta giocando viene investito da un’automobile. Portato in ospedale dalla stessa investitrice, Mirko – così si chiamava il ragazzino – ne viene respinto: in rianimazione, dicono i responsabili,  ci sono poche decine di posti, e sono già tutti occupati. Febbrilmente ci si mette in contatto con altri ospedali della città: niente da fare, non c’è un letto libero. Si chiama l’eliambulanza, e si prova a portare il ragazzino a Catania. Purtroppo durante il viaggio, il piccolo Mirko muore.
   Poteva salvarsi, il piccolo Mirko, se fosse stato ricoverato subito a Messina? Chissà, ma non è questo il punto. Il fatto è che in una grande città, un capoluogo di provincia, non c’era un posto per poter ricoverare un bimbo di quattro anni in gravi condizioni. Da quella grande città, si è costretti a portarlo in una struttura di un’altra grande città. E’ normale? E’ normale che casi come questi si verifichino, e con sconcertante ripetitività? Sono “maledizioni” che cadono dal cielo, cui ci si deve assuefare e rassegnare? I sempre prodighi e loquaci esternatori difensori della vita, in questo caso non hanno niente da dire? Non credono di dover intervenire, di doversi attivare, e provare a spiegare come sia possibile che accada quello che è accaduto? I tanti politici impegnati in dichiarazioni e  comunicati su “crocefisso sì, crocefisso no” in luoghi pubblici, non farebbero meglio a cercare di comprendere quello che è accaduto a Messina? Leggo solo di un’interrogazione presentata da Maria Antonietta Farina Coscioni – la solita radicale! – al ministro della Sanità. E gli altri? Il piccolo Mirko di quattro anni, Rom di origine rumena, non aveva il diritto alla vita? Quanti casi come quello di Mirko si sono verificati, quanti pazienti sono stati costretti a vagare da un ospedale all’altro rifiutati, quanti lo saranno ancora?  

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