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Articolo 21 - Editoriali
Ogni discorso sulla Rai deve partire dalla necessità di non piegarla al volere delle maggioranze
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di Vittorio Emiliani

Nel dibattito che si è riacceso allâ??interno del centrosinistra sul sistema televisivo in Italia dopo la lettera di Romano Prodi al â??Corriere della Seraâ?, sono d'accordo con chi sostiene che ogni ulteriore discorso sulla Rai dovrebbe passare, in modo assolutamente prioritario, da questa premessa strategica ineludibile: come affrontiamo e risolviamo la questione strategica delle forme di garanzia da dare alla radiotelevisione pubblica italiana. La sola oggi in Europa a risultare indifesa dalla politica e quindi facilmente piegata a strumento delle maggioranze. Oggi, in maniera brutale, di quella guidata e condizionata, in toto, da un presidente del Consiglio padrone delle Tv private e della più grande società di raccolta pubblicitaria del Paese.

Soltanto dopo questa "blindatura" garante del pluralismo (all'inglese, alla francese, allâ??olandese, o come vi pare), si possono delineare proposte di intervento sulla struttura Rai. A meno che non si sia, come il sen. Franco Debenedetti, per la sua privatizzazione totale, unico caso in Europa. Ma anche in questa ipotesi un sistema istituzionale di garanzia e di controllo risulterebbe ugualmente fondamentale.

Posta la premessa "costituente" delle garanzie e risolta la stessa in modo efficace, si possono vagliare diverse ipotesi. Due soprattutto : tenere la Rai così com'è, con le tre reti e il resto tornando magari a mettere sul mercato il 49 per cento di Rai Way ; oppure pensare, come ipotizza Prodi, ad una società commerciale Rai che avvii il processo di privatizzazione di una rete (una e non due come purtroppo l'Ulivo disinvoltamente proponeva nel 1996 senza capire che con una sola rete la Rai defunge). Nel primo caso, bisognerebbe senzâ??altro procedere al più presto alla separazione contabile e alla successiva identificazione sul video (bollino blu, rosso o come vi pare) dei programmi finanziati con canone da quelli finanziati con la pubblicità. L'attuale attuazione del contratto di servizio è quanto mai confusa e ambigua. Soltanto in una situazione di assoluta trasparenza potrebbe essere ipotizzabile anche la richiesta di un incremento del canone al fine di ricondurre la Rai ai suoi compiti istituzionali di servizio pubblico.

La seconda ipotesi potrebbe sfociare, sempre con le dovute garanzie, nella tanto auspicata formazione di un "terzo polo" televisivo. Anch'essa dovrebbe tuttavia essere accompagnata dalla misura di separare contabilmente in modo chiaro i programmi finanziati col canone (a questo punto decisamente prevalenti nei palinsesti Rai) da quelli finanziati con la pubblicità.

In conclusione, prima di tutto occorre, anche in questo caso, guardare seriamente all'Europa. Dove tutti i Paesi hanno una radiotelevisione o una televisione pubblica la difesa da organismi e/o da statuti di garanzia autorevoli, oltre che da un canone elevato. Lo stesso Zapatero - che in campagna elettorale aveva parlato di privatizzare TVE il cui disavanzo annuale è ripianato dallo Stato - ci ha ripensato e sta con un comitato di saggi orientandosi verso una emittente pubblica meglio garantita però di oggi (e di ieri) sul piano del pluralismo politico-culturale. 

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