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Articolo 21 - Editoriali
Pillola abortiva: tutte le buffonate dalla A alla Z
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di Simone Luciani

E va bene, ammetto che non sono proprio tutte le buffonate (termine che preferisco a ‘pagliacciata’, che rimanda all’arte nobile del circo, mentre il buffone di corte esercita il suo ruolo in funzione di chi lo comanda) che hanno ruotato attorno, in questi 700 e più giorni, alla pillola abortiva, e qui trovate soltanto quelle che si sono succedute da un certo punto in poi. Diciamo dalla S alla Z. Anche perché ripercorrerle tutte sarebbe impossibile. Tuttavia, con il parere fornito dal Ministro del Welfare Maurizio Sacconi (dopo esserselo, in pratica, autorichiesto) si completa un delirio clericale degno del teatro dell’assurdo, sul piano formale e su quello dei contenuti.
La forma. La presunta necessità di un parere da parte del Ministero sulla pillola abortiva, in merito alla compatibilità di questo farmaco con la legge 194 sull’aborto, viene con occhio di lince scovata, come ormai noto, dalla maggioranza in Commissione Igiene e Sanità del Senato, dove si è voluto dar vita, subito dopo l’approvazione definitiva da parte dell’Agenzia del Farmaco della RU486, a un’indagine conoscitiva. Il titolo dell’indagine, idealmente partorita da Maurizio Gasparri e appoggiata, non si è capito ancora per quale motivo, anche dai capigruppo in Commissione di PD e IDV, è complicatissimo, e rimanda alla scoperta di presunte novità scientifiche (valutate dai rinomati studiosi della Commissione Sanità…) e, ancora, alla coerenza della pillola con la legge sull’aborto. Sul primo fronte la Commissione, ovviamente, non scopre un tubo, ma il presidente Antonio Tomassini (PDL) ha la faccia di scrivere sul documento finale (e i suoi colleghi di maggioranza hanno la faccia di votare) che va proposta all’Agenzia Europea del Farmaco la riapertura del dibattito sulla pillola. Dunque, obbligando gli altri paesi europei a ritirare il farmaco, anche quelli che lo usano da vent’anni senza che siano segnalati eccidi di donne o impennate di aborti. Oppure, assai più probabilmente, a farci ridere dietro da tutto il vecchio continente. Sul secondo fronte, e qui stanno i risvolti pratici più gravi, si stabilisce che l’Agenzia Italiana del Farmaco, prima di dare il via libera alla pillola (val la pena ricordare che mancherebbe esclusivamente la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di una delibera che è già stata ampiamente discussa e votata), avrebbe dovuto acquisire il parere di compatibilità con la legge del Ministero. Per questo, secondo Tomassini (che, ironia della sorte, nella vita fa il ginecologo), sono state riscontrate ‘irregolarità nella procedura autorizzativa’. Quale legge è stata infranta? Nessuna. Il documento fa infatti riferimento alla direttiva europea sui farmaci, la quale contiene sì un comma nel quale si stabilisce, in maniera molto generica, che i farmaci abortivi, per essere approvati, devono essere compatibili con la legislazione nazionale; ma questo meccanismo (che peraltro non parla di alcun parere di nessun ministero) viene ignorato dal decreto attuativo italiano della direttiva, che è quello che conta. Dunque, si dice che non è stato rispettato un obbligo che non è sancito da nessuna parte. Chi se l’è inventato? La paternità è da attribuire a un tale, ascoltato in audizione, dell’ufficio legale dell’Agenzia Europea del Farmaco. E’ curioso che coloro che lamentavano, durante il caso Englaro, che la magistratura “inventerebbe” leggi, diano dignità di legge a quanto detto da un tizio, cui nel documento finale della Commissione vengono dedicate pagine e pagine. Ed è sospetto che, come nota Ignazio Marino, in 700 giorni di lavoro dell’Aifa (contro i 90 previsti da normativa, ma nessuno della maggioranza ha ritenuto di dover chiedere chiarimenti ai dirigenti dell’Agenzia ascoltati), organismo governativo, si siano accorti che serva un parere del governo subito prima della pubblicazione dei documenti in Gazzetta Ufficiale.
La sostanza. Passando invece a quel che viene detto da Maurizio Sacconi all’interno del documento, il ministro stabilisce che la donna che assuma la pillola abortiva debba essere ricoverata dall’assunzione della prima delle due pillole fino all’espulsione completa del feto (che, in rari casi, può avvenire anche dopo 15 giorni), anziché lasciare al medico la scelta di come comportarsi (fuori dall’Italia vengono usati tranquillamente il day hospital o il day surgery per l’assunzione della pillola, seguiti dal controllo a distanza, anche se ovviamente tutto ciò dipende dalla situazione clinica della donna). Questo perché, sostiene Sacconi, la legge 194 prescrive che l’aborto debba avvenire dentro un ospedale. Ora: a chiunque abbia voglia di rileggersi la legge, risulta chiaro che l’articolo 8 non parla di nessun tipo di ricovero, e che addirittura al 10 si parla di ‘eventuale’ degenza. Dunque, il presupposto normativo, anche qui, è inventato. Non solo: rischia di essere perfino dannoso per la salute della donna, che si finge di voler tutelare. Da un lato, infatti, a meno di non stabilire un trattamento sanitario obbligatorio, evidentemente contrario all’articolo 32 della Costituzione, pare complicato obbligare la donna a restare in ospedale. Figuriamoci poi se, come in questo caso, è inutile sul piano medico. Dall’altro, la conseguenza che le donne, prevedibilmente, assunta la pillola firmeranno per tornare a casa rischia, questo sì, di mettere i medici nelle condizioni di non poterle seguire né da vicino né a distanza.
Anche un bambino si renderebbe conto che siamo di fronte a una lunga fila di buffonate. Possibile che non se ne renda conto chi le sta compiendo? No. Più probabile che, proprio come per i buffoni di corte, queste manovre siano ordinate da qualcuno da compiacere, e sappiamo tutti di chi si tratta.
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