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Articolo 21 - Editoriali
Beni confiscati: il papello di questo governo
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di Pietro Nardiello

Parliamoci chiaro e giungiamo immediatamente al nocciolo della questione. L’idea di lotta alle mafie svolta anche attraverso la confisca dei propri beni, come pensato dal compianto Pio La Torre promotore insieme a Rognoni della prima legge in materia e, successivamente, del riutilizzo sociale di questo patrimonio, così come previsto dalla legge 109 del ’96, promossa a seguito di una raccolta di firme dall’Associazione Libera, rappresenta un importante azione di contrapposizione dell’oppressione mafiosa e una grande possibilità di riscatto ed emancipazione di territori e popolazioni.
Immaginiamo un territorio come quello di Casal di Principe o del  centro storico napoletano, nel rione Forcella. Nel primo caso assistiamo a costruzioni faraoniche, sicuramente pacchiane, attraverso la cui grandezza si vuole ostentare ricchezza e potere. Nel secondo caso, invece, aldilà della grandezza delle abitazioni le ritroviamo sicuramente ben armonizzate al contesto circostante, ben inserite e spesso quasi mimetizzate. Un modo, questo, per essere sempre nel vivo della quotidianità controllando così ogni movimento.
Abitazioni che nessuno hai mai osato “sfidare” nemmeno con lo sguardo.
Pensiamo, adesso,  alla grande idea destabilizzante per il  pensiero mafioso rappresentata da questa legge che dopo la confisca, che non avviene mai entro i termini temporali previsti, affida ville, appartamenti, terreni a cooperative sociali, associazioni  o a rappresentanti dello Stato per “motivi di giustizia”. Addirittura sono tanti i terreni resi produttivi i cui prodotti e derivati sono da tempo entrati stabilmente nel mercato. Ricordiamo, poi,  le tantissime attività culturali svolte in questi luoghi che un tempo non erano altro che espressione di morte e violenza. Un’animazione sociale in corso di svolgimento da tantissimi anni in favore di paesi dove mancano i luoghi di aggregazione. Pensiamo ad un’attività culturale come il Festival dell’Impegno Civile, l’unica kermesse del genere italiana ad essere realizzata interamente in queste strutture promossa dal Comitato Don Peppe Diana e dal coordinamento di Libera Caserta. Seppure alla seconda edizione, conclusasi lo scorso giugno, in soli tre giorni ha visto oltre duemila persone giungere  in questi luoghi per manifestare una volontà di cambiamento.

A fronte di tutto questo, invece, il governo decide di mandare all’asta i beni sottratti ai mafiosi considerati “non destinabili” trascorsi i tre o sei mesi. Un’azione pericolosa che metterebbe in serio pericolo tutto il lavoro sin qui svolto, che ostacolerebbe il processo di emancipazione di intere popolazioni. Dovessimo dare un giudizio a tutto ciò non potremmo che definire quest’operazione, che diventerebbe legge grazie a  sistemi democratici, un vero e proprio “papello”.
Nulla di buono, però, ci si può aspettare da questo esecutivo, soprattutto nell’ambito di questa materia, visto che  anche sul sito ufficiale del governo al seguente link (http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/progetto_gelmini/fotografie.html, proprio dove si parla del progetto sostenuto dal ministro Maria Stella Gelmini, “Più scuola  meno mafia”, alcuni beni confiscati assegnati ad un consorzio di comuni della provincia di Caserta, Agrorinasce, risultano assegnati e riutilizzati nonostante, tranne la casa “Don Diana” di Casal di Principe, i beni in questione siano abbandonati e inutilizzati da più di dieci anni proprio da come si evince dal sito del consorzio (ww.agrorinasce.org). 
In Campania dopo la raccolta di firme organizzata dal coordinamento napoletano di Libera si è passati all’asta simbolica della fattoria di Grazzanise, località del casertano, che si è svolta lunedì 30 novembre a Casal di Principe. In questo caso i battitori sono stati i componenti del Comitato Don Peppe Diana.

 

Pietro Nardiello

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