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Articolo 21 - Editoriali
I dieci anni de "La Voce"
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di Federico Orlando

Ho letto con grande piacere lâ??articolo di Luca Landò sullâ??Unità, che rievocava ieri i dieci anni dalla nascita della Voce: il  giornale che Montanelli fondò insieme a me, ai vice direttori Giancarlo Mazzuca e Michele  Sarcina e allâ??art director Vittorio Corona e che uscì a Milano alla vigilia delle elezioni del 27 marzo  1994.  La  ricostruzione di Landò, che della Voce fu redattore capo centrale, è  esemplare per  completezza  e veridicità. Debbo solo correggere Luca a proposito dellâ??irruzione dellâ??ex editore Silvio Berlusconi nellâ??assemblea dei redattori del Giornale, ai quali il 9 gennaio, quando la decisione di scendere in campo era non ancora ufficiale ma presa da molti mesi, pose lâ??aut aut:  o con me o con Montanelli.  Berlusconi non â??approfittò di una momentanea assenza mia e del direttoreâ?,  ma, al contrario, mi fece preavvertire da Tajani, che aveva asportato dalla redazione romana del Giornale ad Arcore come portavoce. Naturalmente, Montanelli ed io non ci muovemmo dalle nostre scrivanie: un poâ?? perché i direttori non partecipano alle assemblee dei redattori, affinché essi siano e si sentano interamente liberi, molto perché non volevamo essere complici di Berlusconi nemmeno sul piano dellâ??ospitalità.

La  Voce nacque col proposito di essere un giornale per il giornale e non per un â??partitoâ?, comâ??era  stato il Giornale con noi, schierato col movimento referendario per rovesciare la partitocrazia, e come sarebbe rimasto con Berlusconi, schierato con lâ??avventura del padrone. . Alla vigilia delle elezioni,  con  lâ??Italia gravata da una legge maggioritaria che non era lâ??equilibrato doppio turno per il quale câ??eravamo battuti nei referendum, la Voce avrebbe forse potuto esercitare un â??magistero di persuasioneâ? fra il blocco della sinistra (la gioiosa macchina da guerra di Occhetto) e il blocco della destra (il fascio di tutte le forze anticomuniste e  vedove della partitocrazia, raccolte da Berlusconi). Ma la tempesta elettorale ci portò subito fuori strada, fu subito chiaro  il nostro auspicio in favore di un terzo soggetto, condannato a perdere (lâ??alleanza tra i popolari di Martinazzoli e i pattisti di Segni). Si aggiunse la forte motivazione antiberlusconiana che si sviluppava in noi  moderati liberali:  noi vedevamo lâ??ideale forse romantico e letterario della Destra Storica tradito  dallâ??accozzaglia degli interessi e dei revanscismi mobilitati dallâ??imprenditore di Arcore. Il risultato fu che la gran massa dei lettori-elettori moderati -  che non avevano idee romantiche della  Destra ma sâ??accontentavano di quel che offriva Berlusconi (Polo delle libertà a Nord con la Lega, Polo del buongoverno al Sud col Msi) - ritennero di non poter giocare la carta  del â??terzo poloâ?, che noi proponevamo. A loro volta, gli elettori-lettori di sinistra ci apprezzarono per la durata della  battaglia elettorale e ci lasciarono via via dopo la sconfitta dei Progressisti, che nel giro di un anno  trascinò anche la Voce nella sconfitta.

      Tuttavia, quando il giornale chiuse nella pasqua 1995, vendeva ancora alcune diecine di migliaia di copie: insufficienti a pagare  i costi, ma patrimonio rilevante, se paragonato, per esempio, a quello di  tanti quotidiani , finanziati con soldi pubblici e privati. Noi pagammo unâ??altra illusione romantica, quella di fare un giornale che non avesse un padrone, ma fosse edito da una  public  company di tanti piccoli azionisti. Costoro vennero, ma non  vennero quelli che avrebbero dovuto costituire il  nocciolo duro del capitale, perché intimiditi dai nuovi padroni della politica, ancora e sempre ricattatori: o con la Voce o col potere.  Non eravamo abituati a questo tipo di Italia e di politica. E in questo tipo di Italia e di politica abbiamo  osato nutrire la doppia speranza di fare un giornale senza una forza politica di riferimento e senza un padrone. Due illusioni in una volta sola, forse un poâ?? troppo, anche se sullâ??altro piatto câ??era il  nome prestigioso di Montanelli.  In Francia, Le Monde salvò la propria indipendenza affidando il 51 per cento delle azioni ai giornalisti e il  49 a  una proprietà forte. In America il  Washington Post  visse lâ??epopea della cacciata di Nixon dalla Casa Bianca perché la sua editrice faceva solo lâ??editrice e non accettava (almeno secondo la leggenda) telefonate e minacce di uomini politici. Eâ?? questa la cultura del giornale come contropotere, quando necessario, e come difensore civico dei cittadini, sempre. Noi non ci siamo riusciti, ma averlo tentato, in Italia, è stato drammaticamente bello. E comunque fu  necessario, come, dieci anni dopo, le prepotenze di oggi dimostrano.  

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