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Articolo 21 - Editoriali
Travaglio? Troppo buono coi giornali "di partito"
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di Beppe Lopez*

Il cattivissimo Travaglio, per una volta, fa il buono. Forse troppo. E’ successo grazie ai soldi che lo Stato elargisce ai giornali e ad un intervento pro domo sua di Antonio Polito. Dunque, Travaglio ha pubblicato il 12 dicembre sul Fatto – un giornale che, con coerenza e coraggio, ha rinunciato unilateralmente ai contributi pubblici - un pezzo molto polemico (e molto motivato) su Antonio Polito “El Drito” e sul giornale da lui diretto, il Riformista, “già organo del finto partito Le Ragioni del Socialismo (ovviamente a carico nostro), ora trasformatosi in una strana cooperativa che fa capo agli Angelucci”.
Polito, predicando “liberismo e blairismo à go-go, difende quel residuo di socialismo reale che sono i soldi dello Stato ai giornali” ed ha attaccato quella che per Travaglio è invece “l’unica cosa buona del governo Berlusconi: il taglio dei fondi pubblici ai giornali”. Insomma Polito critica il presidente del Consiglio per il taglio o la minaccia di tagli – lo si saprà nelle prossime settimane – alle provvidenze per l’editoria, di cui godono insensatamente fra gli altri anche gli Angelucci (2,5 milioni di euro per il Riformista e 7,8 milioni per Libero). E invece Travaglio, per una volta, lo difende. “Intendiamoci”, aggiunge il giornalista considerato un odioso nemico dai berlusconiani, “la norma, come chiede anche Fini, deve salvare le vere cooperative di giornalisti, come il Manifesto, e forse anche i giornali veri di partiti veri: Secolo d’Italia, Padania, Unità, Liberazione. Almeno finché resta il finanziamento pubblico, i partiti han diritto a dirottarne una quota per comunicare le eventuali idee”.
C’è da dire che Travaglio, forse perché non abituato a rilevare gli aspetti positivi e legali del sistema politico-partitico, e avventuratosi in un’argomentazione pur a fini retorici nella quale deve credere sostanzialmente assai poco, ha esagerato nei riconoscimenti. A Berlusconi (che in effetti non vuole tagliare i fondi pubblici ai giornali, alle lobbies e agli affaristi che si muovono nell’editoria – come gli sviluppi della vicenda non tarderanno a dimostrare – ma piuttosto lanciare messaggi ai suoi “nemici”) e ai partiti da lui pur certamente non amati.
Non è vero, infatti, che Secolo d’Italia, Padania, Unità e Liberazione siano “giornali veri di partiti veri”.

1) Dei partiti ai quali queste quattro testate facevano riferimento quando hanno acquisito il diritto ai contributi, sopravvive com’è noto solo la Lega e Rifondazione. An e Pci-Pds-Ds non esistono più.
2) Del requisito storicamente richiesto a tali testate per ottenere il contributo – essere “organi di partiti e movimenti politici che abbiano il proprio gruppo parlamentare in una delle due camere o rappresentanze nel parlamento europeo” – è oggi titolare solo la Padania. Difatti, per le altre, è stata artificiosamente aggiunto in tempi recenti un curioso e un po’ truffaldino sub-requisito: testate che “essendo state in possesso di tali requisiti (relativi ai gruppi parlamentari di riferimento, ndr), abbiano percepito i contributi alla data del 31.12.2005”.
3) La categoria dei presunti “giornali veri di partiti veri” - che in quanto tali godono di contributi pubblici, dovrebbero continuare a goderne se passasse la linea buonista di Travaglio e comunque presumibilmente continueranno a goderne – comprende anche testate come Il Campanile Nuovo (Mastella, 1 milione 150 mila euro), Democrazia Cristiana (edita da una “cooperativa” autodenominata nientemeno che Balena Bianca, 298 mila), Europa (già organo della Margherita e oggi “di Rutelli”, 3 milioni e 599 mila), Italia Democratica (di ignoto riferimento politico, 1 milione e 476 mila), Liberal (contributo 1 milione e 200 mila, già nella titolarità dell’aennino Italo Bocchino, poi acquisito da Ferdinando Adornato e indirettamente dall’Udc), Notizie Verdi (ben 2 milioni e 510 mila per un’attività editoriale di cui nessuno sa niente), Le Peuple Valdotaine (301 mila), La Rinascita della Sinistra (“organo” del partitino di Diliberto oggi associato a Rifondazione, 934 mila), Il Socialista Lab (di cui nessuno sa niente, 472 mila), Zukunft In Sudtirol (650 mila).
4) Quasi tutti questi giornali sono proprietà non dei partiti ma di privati. E, salvo pochi casi, senza alcun riferimento proprietario o azionario o di reale controllo da parte dei partiti. Dei quattro citati da Travaglio, in particolare, due fanno parte certamente parte di due specifiche entità editorial-partitiche (Padania-Lega, Rifondazione-Liberazione), mentre l’Unità è in tutti i sensi proprietà privata e, peraltro, spesso mal sopportata e criticata da esponenti e dirigenti della forza politica di cui era espressione giornalistica (Pci-Pds-Ds). E Il Secolo d’Italia, proprietà di una società che si chiama “Il Secolo d’Italia di Fini Gianfranco”, nella gerenza si dichiara "organo di Alleanza Nazionale" (un partito che non c'è più) ed è di fatto organo di un partito, quello di Fini, che forse un giorno vedrà la luce. Ma che non è mai esistito e non esiste.
5) “Almeno finché resta il finanziamento pubblico”, concede ancora sorprendentemente Travaglio, “i partiti han diritto a dirottarne una quota per comunicare le eventuali idee”. Ma lo dice, erroneamente, in riferimento appunto alle provvidenze per l’editoria. E che c’entra? Non si tratterebbe, infatti, di negare ai partiti il finanziamento pubblico (peraltro, come sa bene Travaglio, ottenuto nonostante il referendum che l’abrogò, decuplicatosi negli anni e comunque onerosissimo, anche attraverso norme applicative a cavallo fra la rendita parassitaria e il profitto indebito). I contributi diretti ai giornali "di partito" sono tutt’altra cosa, in aggiunta al finanziamento diretto ai partiti. E spesso i giornali li hanno usati e li usano per comunicare idee diverse quando non polemiche rispetto a quelle sostenute dai partiti di cui – in base ad una normativa oggettivamente truffaldina – dovrebbero essere espressione.

*infodem

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