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Articolo 21 - Editoriali
Sulle tracce di Pippo Fava, da Palazzolo a Rosarno
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di Pino Finocchiaro

Pippo Fava è morto 26 anni fa. Nulla è più lo stesso da quella fredda e piovosa sera del 5 gennaio. Quella pioggerellina ti entra nelle ossa mentre osservi il lavoro degli investigatori sul luogo del delitto. Il corpo è stato portato via, nonostante Giuseppe Fava fosse già morto, cinque colpi alla testa sparati da vicino non lasciano scampo. Eppure sento che il direttore del Giornale del Sud, il mio direttore, il fondatore dei Siciliani, è ancora qui. Colgo il suo spirito.

Colgo il suo spirito a Palazzolo Acreide, città natale di Pippo Fava, dove gli organizzatori del premio Fava riuniscono giornalisti, politici, blogger, intellettuali, pezzi importanti della società civile siciliana per ribadire che sì lo hanno ucciso 26 anni fa ma il suo spirito, la sua denuncia, la sua voglia dostoevskijana di addentare la vita, sono ancora qui, sono i fari della nostra vita.

Sono qui a fare da moderatore. Sono qui per dire che i giornalisti fanno domande, anche scomode, tocca ai politici trovare le risposte. Ripenso ai suoi pezzi di denuncia e il dibattito si accende, piovono i distinguo, sull'operazione che ha condotto un intellettuale di sinistra, professionista dell'Antimafia, a diventare assessore del governo presieduto da Raffaele Lombardo accusato da più pentiti di aver incontrato il mandante tecnico dell'omicidio Fava, il boss catanese Nitto Santapaola.

Era un giovane e promettente politico, allora, Lombardo. La sua ascesa era stata coperta all'interno dell'opera universitaria da Paolo Rizzo, destinato a divenire sindaco di Niscemi dall'88 al '92, quando il comune venne sciolto per mafia. Capita che il boss di Niscemi, Gianfranco Giugno, sia il cognato di Paolo Rizzo e che più recenti indagini indichino Rizzo come suo luogotenente.

L'opposizione non può e non deve ignorare tutto questo, lo dice Gianluca Floridia, animatore di Libera nel Ragusano, lo sottolinea Riccardo Orioles, caporedattore dei Siciliani, ricordando i depistaggi attuati dalla stampa locale dominata dall'onnipresente, nei giornali e negli appalti, editore Mario Ciancio.

Catania. Ritrovo lo spirito di Pippo Fava nelle parole del figlio Claudio mentre consegna il premio all'attore Giulio Cavalli e all'inviato di Report, Sigfrido Ranucci. Con loro, con noi, il Procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, che indaga sui servizi servizievoli e sulla presunta aggressione al premier Silvio Berlusconi. Ritrovo quel suo antico modo di indagare sulle connessioni, di non fermarsi all'ala militare di Cosa Nostra.

E' scuola che continua a fare scuola. Celebra il giorno dell'uccisione di Pippo Fava riunendo a Cittainsieme giovani giornalisti, bloggher, registi, autori, attori che ventisei anni fa non erano ancora nati. Il pensiero, gli scritti, il teatro di Pippo Fava camminano sulle loro gambe. Le nostre, ormai, sono stanche e si lasciano prendere dai crampi al pensiero di quella pioggerellina che ti entra nelle ossa mentre resti lì a cercare lo spirito del Direttore ora che il suo corpo è solo un corpo e se lo son portato via.

Sul traghetto tra l'Isola e il Continente, tra Sicilia e Calabria, ritrovo lo spirito di Pippo Fava negli occhi disperati degli africani in fuga da Rosarno. Il direttore avrebbe mandato qui i suoi cronisti. Ma il suo giornale non c'è più. Incrocio quelle auto blu dei carabinieri e azzurre della polizia che giungono tardive dal Nord quando ormai il dramma si è consumato e la tragedia solo sfiorata. I rampolli della 'ndrangheta sono più furbi dei Casalesi, usano proiettili di gomma o sparano alle gambe. I "neri", gli "schiavi" di questo pezzo di Alabama degli anni '60 trapiantato nell'Europa del Terzo Millennio, sono in fuga, protetti da poliziotti e carabinieri che lavorano solo per evitare il peggio mentre i politici, distanti, continuano a blaterare parole d'ordine.

Sorpasso due autobus di migranti che vanno verso il Nord mentre muore la dignità del Sud. Sono scortati da auto della polizia. Penso al Direttore, alla sua risataccia e mi pare di sentirlo: "E bravi anziché ficcarci mafiosi e collusi, caporali e sfruttatori, per condurli in galera, sugli autobus costringiamo a salire gli incolpevoli, i senza diritti, i senza voce. Gli unici che abbiano avuto il coraggio di sfidare con una protesta di piazza la 'ndrangheta e suoi caporali".

A Rosarno affluiscono inviati e rinforzi quando il dramma si è consumato. Vedo in tv Antonello Mangano che qui viene da anni e che qui ha scritto un libro "Gli africani salveranno Rosarno". E' stato il più prestigioso allievo di quel chierico della conoscenza che ora fa l'assessore per Lombardo. Antonello ha usato il metodo d'analisi delle infiltrazioni mafiose teorizzate dal suo maestro e lo ha applicato all'Università di Messina con risultati sconvolgenti. Bella tesi, complimenti ma il mondo accademico, incluso il suo mentore, lo hanno espulso dalla torre d'avorio.

Antonello insiste, è a Rosarno per parlarci degli africani che non hanno potuto salvare gli italiani da se stessi. Anche in lui c'è un pizzico dello spirito di Pippo Fava, di quel sorriso che cinque vili pallottole non hanno spento e non spegneranno mai.

pinofinocchiaro@iol.it

www.pinofinocchiaro.it

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