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di Giulia Tosoni
L’immigrazione, più nella realtà quotidiana che nella sua immagine mediatica, assume i mille volti di mille storie diverse: chi è appena arrivato, chi vive qui da una vita, chi in Italia è addirittura nato.
E’ la scuola a rivelarci la complessità della sfida che ci attende: un forte aumento degli studenti stranieri nelle classi richiede di adattare la didattica alla nuova realtà interculturale.
Con questo si misurano soprattutto le scuole elementari, tra successi e nodi irrisolti.
Il tetto del 30% di studenti stranieri per classe, introdotto dal Ministro Gelmini con una circolare dell’8 gennaio, azzarda una risposta per impedire la creazione di scuole e classi ghetto.
Un problema che non siamo i soli ad affrontare: prima di noi, ad esempio, la Germania.
Il sindaco di Berlino Klaus Wowereit, ha fatto infuriare i suoi concittadini commentando i problemi delle scuole di Kreutzberg, dove si arriva anche al 90% di studenti turchi: “Se avessi dei figli, non li manderei a scuola lì”.
Eppure non mancano a Berlino esempi positivi, come nella vicina Neukolln, dove l’istituto professionale Hauptschule ha investito 26 milioni di euro per innovare completamente didattica e strutture, cambiando il volto di una delle scuole più disagiate della capitale.
La situazione nostrana richiede al Ministro Gelmini di fare il pane senza avere la farina: i tagli apportati al bilancio per l’istruzione rendono possibili solo quelle sue circolari che tentano, più mediaticamente che nella realtà, di risolvere i problemi.
Il provvedimento ha sollevato domande senza risposta: chi è nato in Italia, è straniero? E chi è arrivato a pochi anni di vita? Chi conosce l’italiano rientra nel tetto?
Senza contare i dubbi sull’incerto destino degli studenti eventualmente respinti: chi fornisce loro i mezzi per spostarsi, chi fa fronte ai loro disagi? Non si rischia di aumentare ancora la dispersione scolastica?
La Gelmini ha precisato: una presenza di stranieri superiore al 30% riguarda appena il 2,2% delle scuole. In alcuni casi non sarà “geograficamente possibile” spostare gli alunni. Infine, rientra nelle quote chi non è nato in Italia, ma soprattutto chi non conosce la lingua.
A ben vedere alle nostre scuole basterebbe sfruttare le esperienze positive già realizzate e trovare nel Ministero tutto il sostegno necessario, in competenze, personale e risorse, per adattare ogni soluzione al singolo caso.
In attesa che anche il Parlamento giunga alle stesse conclusioni del Ministro Gelmini: chi è nato o cresciuto qui, chi parla la nostra lingua, non può più essere considerato straniero, né da una circolare per le scuole, né tanto meno dalla legge sulla cittadinanza.
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