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Articolo 21 - Editoriali
Lotta alla mafia: minacce e sentenze
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di redazione

Un clima pesante di minacce e possibili attentati quello che emerge dalle cronache delle ultime settimane. Dalla Calabria alla Sicilia, le organizzazioni mafiose sembra stiano lanciando nuovi segnali di “esistenza in vita”. L'attentato al tribunale di Reggio Calabria, oscurato subito dopo dai drammatici fatti di Rosarno è un segnale chiaro ed esplicito da parte delle 'ndrine calabresi. Segnale che ieri ha avuto una replica con il ritrovamento di un'auto carica di armi e congegni eplosivi in concomitanza con la visita di Giorgio Napolitano nella cittdina calabrese. Un segnale, un avvertimento: ci siamo e possiamo colpire quando vogliamo. Lo stesso significato che hanno in queste ultime ore le minacce destinate a magistrati siciliani, all'europarlamentare, ex sindaco di Gela, Rosario Crocetta, e al giornalista dell'ANSA e dell'Espresso Lirio Abbate.
Una lunga lista di nomi quella dei magistrati siciliani oggetto di particolari attenzioni da parte di cosa nostra nell'ultimo periodo: il procuratore Lari, il suo aggiunto Nico Gozzo e i PM di Palermo Antonio Ingroia e Gaetano Paci. In una lettera minatoria, al vaglio degli inquirenti, altre minacce sono state indirizzate al Pm Pietro Grasso e al gionalista Lirio Abbate, sotto scorta dal 2007 in seguito ad una serie di atti intimidatori legati al lavoro di inchiesta svolto da Abbate e alla pubblicazione del libro “I complici” scritto a quattro mani con Peter Gomez. Lista che si arricchisce ulteriormente con le minacce ricevute, sempre in questi giorni, da Claudio Risicato, presidente dell'associazione antiracket Rocco Chinnici e coordinatore delle Associazioni antiracket-antiusura di Confcommercio di Catania, e la busta con proiettile indirizzata il 12 gennaio al magistrato Sebastiano Ardita responsabile della gestione detenuti 41 bis, sempre a Catania. Manifestazioni di solidarietà sono giunte ai giudici minacciati, e solidarietà è stata espressa da UNCI, Fnsi, Assostampa e Ordine dei giornalisti siciliani, dal cdr de L'Espresso al collega Abbate e al Pm Grasso. Mentre una nuova vittoria processuale ha segnato la tabella di marcia nella lotta alla mafia con la sentenza di ieri nell'ambito del processo Addiopizzo, il comitato nato alcuni anni fa a Palermo dall'idea di alcuni giovani contro il racket del pizzo, costituitasi parte civile nel processo per estorsione costato a 13 dei 17 imputati, 141 anni complessivi di carcere. Ed è lo stesso Addiopizzo che oggi, durante una conferenza stampa, annuncia che non si costituirà più parte civile in processi simili se non saranno per prime le vittime a farlo.

“La sentenza del processo denominato “Addio Pizzo” -
si legge sul sito del comitato- rappresenta per le nostre associazioni  un grande risultato, non solo da un punto di vista processuale. Questa sentenza per noi è una tappa di un cammino, equivale a una battaglia vinta, in modo esemplare. E poiché sappiamo bene che la vittoria è tutt’altro che prossima, ragionare sui motivi di questo successo significa anche cominciare a fare un bilancio critico dello stato attuale della lotta al sistema mafioso delle estorsioni...”

“Oltre alla celerità del processo e alla severità delle condanne (141 anni di carcere per 13 dei 17 imputati mafiosi), ci preme evidenziare e valorizzare i questi numeri e questi dati:
 
Processo Addio Pizzo:
13 persone offese assistite dall'Associazione Addiopizzo;
1 persona offesa assistita da Confcommercio;
0 persone offese assistite dalle altre associazioni di categoria e antiracket di Palermo.
Dal 2007 al 2009:
27 processi per estorsione in cui Addiopizzo si è costituita parte civile, di cui
15 dove Addiopizzo ha affiancato 35 persone offese;
Addiopizzo e Confindustria sono le uniche associazioni costituite contro gli operatori economici accusati di favoreggiamento. 
A ciascuno le proprie conclusioni.”

PERCHE’ SI FINISCE SOTTO SCORTA?: “IO HO FATTO SOLO IL CRONISTA” –
di Lirio Abbate ( dal rapporto 2009 di Ossigeno per l'informazione)

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