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Articolo 21 - Editoriali
Stato sociale: necessario un rilancio
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di Lucio Babolin*

La politica è ancora in grado in qualche modo di cogliere la grande richiesta di attenzione al benessere sociale che viene incessantemente segnalato dalla società civile organizzata, dalle migliaia e migliaia di uomini e donne che hanno deciso di esercitare una professione orientata a dare esigibilità ai diritti di cittadinanza di tutti coloro che a vario e diverso titolo abitano il paese Italia?
O dobbiamo oramai rassegnarci a prendere atto del fatto che non solo vi è una assoluta e cronica incapacità di cogliere i segnali di disagio e di malessere che attraversano l’intera società che si sente sempre meno tutelata nei beni essenziali, ma ad essa si accompagna una razionale decisione di respingere in un angolo l’invocazione a mettere fine alle politiche di disgregazione sociale in atto e a riprendere la strada della affermazione del principio di eguaglianza e di giustizia sociale come ispiratore delle politiche del Governo nazionale e dei Governi Regionali?
Sono questi due gli interrogativi che ci hanno accompagnato nel pensare alla quarta edizione di Strada Facendo (a Terni, da oggi a domenica).
Già a Cagliari nel 2008 ci eravamo spinti a proporci come “soggetto politico” autonomo, orgogliosamente capace di proporre soluzioni, di indicare percorsi, di proporre compatibilità economiche e fissare quanto ritenuto non negoziabile.
Ma già allora la politica, con le sue innumerevoli assenze, ci aveva segnalato  di considerare la questione sociale un problema marginale.
Oggi la situazione si è ulteriormente aggravata e, in forza della gravità della crisi  fiscale del Paese, viene ancorpiù giustificata la decisione di chiudere gli occhi, di non vedere né sentire.
Strada Facendo 4 dovrebbe rappresentare una svolta che ci fa dire come l’aumento delle disuguaglianze sociali ed economiche non è più tollerabile, anche perché è spesso causa di violenza tra le persone e prefigura il rischio di conflitti intergenerazionali, di genere, di censo.
Noi gridiamo a gran voce il nostro sdegno per questa ingiustizia e diciamo che non possiamo più accettare questa situazione.
Crediamo sia giunto il momento per dire che lo Stato sociale, inteso come sistema complessivo di garanzia dei diritti, va non solo salvato ma anche rilanciato e che si deve tornare all’affermazione dei diritti di cittadinanza sanciti dalla nostra Costituzione. Bisogna riprendere con forza a rimuovere tutte le barriere che impediscono ad ognuno di sentirsi cittadino.
Per questo riteniamo necessario procedere ad una riforma dei comportamenti della politica: chiediamo alle Istituzioni nazionali e regionali di abbandonare la polemica sterile sulle reciproche esclusive o concorrenti competenze per assumere con coerenza e responsabilità, l’opzione della giustizia sociale come criterio di comportamento orientato al benessere delle nostre comunità.  Pensiamo che non vi sia alternativa a lottare contro la disuguaglianza, la povertà e il progressivo impoverimento di fasce sempre più ampie di nostri cittadini e riteniamo che ogni sforzo vada fatto perché non si arrivi al puro e semplice smantellamento del sistema di difesa costruito in questi anni. Riteniamo che, in un approccio solidaristico e responsabile, spetti prima di tutto allo Stato intervenire per la riduzione di iniquità e ingiustizie, con la sua produzione normativa e la destinazione di risorse dedicate, mentre la progettazione e la realizzazione delle azioni necessarie crediamo sia compito delle Istituzioni e dei corpi sociali intermedi, con pari dignità.  Denunciamo il rischio di ritornare ad uno Stato caritatevole e assistenziale che si limita a prendere atto che disuguaglianza e povertà sono tra noi come male ineliminabile e che chi vi cade dentro possa aspettarsi solo degli interventi assistenziali, una tantum, saltuari: è tempo di cambiare il nostro modello di società assumendo i criteri della solidarietà, della giustizia, della pari dignità di ognuna e ognuno. Il benessere di ciascuno è la garanzia del futuro per l’intera collettività.
Non può esservi sviluppo, ripresa economica, crescita se migliaia di famiglie vivono strutturalmente sotto quella soglia minima che permette di sopravvivere dignitosamente. Questa situazione è anticostituzionale e contrasta con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Non si può invocare responsabilità se dilaga l’ingiustizia sociale e la discriminazione. Non vi può essere futuro per una democrazia che nega i diritti di cittadinanza.
Dalla crisi si esce solo aumentando le tutele, non togliendole.

*Presidente CNCA (Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza) che raggruppa oltre 150 fra comunità e associazioni che fanno servizi alla persona
         

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