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Articolo 21 - Editoriali
La rivolta di Sanremo
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di Ottavio Olita

Gli spartiti musicali accartocciati e lanciati da tutti gli orchestrali sul palco del Teatro Ariston: è l’immagine emblematica della rivolta che si è scatenata a Sanremo quando sono stati resi noti i risultati dell’ultima selezione, quella che ha escluso sette dei dieci finalisti. In quel gesto, come poi nelle urla del pubblico presente in sala – fino a “Venduti! Venduti!” – la rabbia di chi, coinvolto formalmente nel giudizio, è stato di fatto del tutto ignorato. Sia il vincitore, Valerio Scanu, sia i secondi, il trio della grande canzone innovativa dedicata a Dio-Patria-Famiglia, già eliminati, nelle serate precedenti, dalla giuria popolare presente in teatro, erano stati ripescati grazie al televoto. “Il giudizio del popolo è sovrano”, ha detto, con enfasi eccessiva, la bravissima Antonella Clerici, anch’essa chiaramente contrariata dal verdetto. Ma anche quegli orchestrali, quel pubblico di Sanremo, sono o non sono popolo sovrano? E perché coinvolgerli se alla fine il loro parere viene sommerso dalla valanga di voti telefonici? E quale certezza c’è sull’identità di quanti hanno digitato i codici di selezione, quale la loro effettiva “popolarità” ?
Il festival, con queste modalità di votazione, viene del tutto sottratto a Sanremo. Non solo. Si corre il rischio di un’altra forma di esproprio, molto più grave. Guardiamo alle classifiche di quest’anno e dell’anno scorso. I vincitori vengono tutti, proprio tutti, da trasmissioni televisive volte a scoprire e costruire giovani talenti artistici. Valerio Scanu da “Amici”, dove è arrivato secondo, così come dalla trasmissione di Maria de Filippi proveniva Marco Carta, vincitore l’anno scorso; Marco Mengoni, terzo,  da “X-Factor”, così come Tony Maiello vincitore della sezione “Nuove proposte”. I secondi, quelli del Grande Amore per l’Italia, sono i protagonisti di show televisivi come “Ballando con le stelle” e “Raccomandati”: tutti più bravi di gente come Malika Ayane, Cristicchi, Irene Grandi, Enrico Ruggeri, Fabrizio Moro, Povia, Arisa?  Ma andiamo! Allora perché la rivolta di Sanremo, quest’anno, ha caratteristiche diverse rispetto al passato, visto che poche volte, sui verdetti finali, non ci sono  state polemiche? Perché il festival sembra essersi trasformato nella grande vetrina nazionale dello strapotere della Tv nella creazione di nuove star. E’ l’atto di consacrazione di qualcosa costruito altrove. Non partono più da qui artisti come Laura Pausini, Eros Ramazzotti, Elisa, Vasco Rossi. Anche nello scontro tra giovani, vincono quelli che sono già stati visti e rivisti sul piccolo schermo: battuto Romeus, scoperto da “Sanremo Lab”, esclusi i Sonohra. Nessuno di loro è stato alla corte di Maria De Filippi o di Morgan & Co. Davvero il Festival di Sanremo può ridursi a questo? Il rischio è che di fronte a questa grande disparità, in partenza, anche i cantanti più importanti non intendano più rendersi disponibili ad accettare una sfida così importante. Altro che festival di Castrocaro o di Ariccia, altro che battaglie fra case discografiche! Attenti che si rischia di finirla con la pretesa di una ‘Par Condicio’ televisiva anche fra cantanti. Quel che è in gioco è la funzione stessa del Festival. Occorre correre ai ripari e lo si deve fare ora, al termine di un’edizione che ha restituito alla manifestazione i suoi tempi e i suoi ritmi, che ha di nuovo messo al centro la musica, che ha cancellato l’ossessione di trasformare il Festival nell’ennesimo show televisivo, che ha fidelizzato i suoi milioni di spettatori, che – così come aveva chiesto Articolo 21 – ha di nuovo volto il suo sguardo alla società ospitando i lavoratori di Termini Imerese e dando poi la parola a Bersani e Scajola. Certo il momento della serata in cui sono stati accolti sul palco non è stato il più felice, perché era appena scoppiata la grande bagarre successiva all’esito delle votazioni. Ma è stato un segnale importante di attenzione alla realtà circostante e non solo al proprio ombelico. Ora si tratta di trovare una  formula che consenta un riequilibrio con lo strapotere dei talent-shows:  nuovi meccanismi di votazione e una diversa attenzione al mondo musicale, a quello che vive oltre e al dilà della televisione. Le modifiche sono urgenti, perché la prossima volta alla ribellione degli spettatori del teatro Ariston potrebbe sommarsi quella del telespettatori.

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