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Articolo 21 - Editoriali
Riflessioni sul Citizen Journalism
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di Elda Brogi

Negli ultimi anni, la facilità e la relativa economicità dell'accesso a Internet, nonché la disponibilità di applicazioni per la costruzione di siti personali e pagine di social networking che permettono il caricamento di contenuti di diversa natura in rete, hanno favorito la diffusione sempre più veloce sul web di informazioni multimediali da parte di soggetti che in un contesto meramente “cartaceo” non avrebbero avuto sicuramente la possibilità di diventare produttori e diffusori di contenuti.
In questo senso la Rete ha senza dubbio contribuito a dare un'attuazione più effettiva, dal punto di vista attivo e non solo passivo, al primo comma dell'art. 21 Cost., di quanto non abbia fatto ad esempio il mezzo radiotelevisivo o la stessa stampa cartacea.

E' quindi frequente e sotto gli occhi di tutti gli “internauti” che non solo alcuni siti web o blog “personali” che trattano temi di attualità, ma anche siti che raccolgono contribuiti inviati da collaboratori saltuari e non organici a nessuna redazione organizzata acquisiscano progressivamente autorevolezza su temi politici, economici, sociali e rappresentino sempre più spesso per gli utenti di Internet una fonte di informazione alternativa rispetto a quella dei media cartacei o televisivi cd mainstream.
Si tratta di una sorta di “galassia” di contenuti che è senza dubbio una ricchezza per la circolazione delle idee e per la libertà e pluralità dell'informazione.
Questo fenomeno, che ha avuto per effetto la proliferazione di contenuti informativi diversi da quelli “tradizionali”, è stato denominato “citizen journalism” o giornalismo partecipativo.
Se ne possono individuare diverse forme: la stessa possibilità di inserire commenti ad un post di un blog è una prima forma di “partecipazione”, ma si può parlare di citizen journalism vero e proprio quando un sito web viene costruito da contributi dei cittadini-utenti, con o senza un “filtro” editoriale da parte di un responsabile del sito stesso.

Relativamente al giornalismo partecipativo si pongono a livello giuridico alcuni problemi ed interrogativi. Il primo è quello relativo alla parificazione di un sito web ad un periodico e all'applicabilità della disciplina sulla stampa in materia di registrazione della testata al tribunale; questione mai sopita veramente nonostante la comune interpretazione della legge 62 del 2001 alla luce del dlgs sul commercio elettronico, secondo cui la testata va obbligatoriamente registrata presso il tribunale quando i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla stessa legge del 2001; ma di fatto la disciplina non è interpretata unitariamente dalla giurisprudenza. Come è noto, poi, nel recente passato sono state presentate in tema numerose proposte di legge che hanno ipotizzato varie soluzioni alternative, più o meno “liberali” rispetto a quella vigente, ma ad oggi giacciono in Parlamento ed il dibattito sul tema appare temporaneamente sopito. Né le proposte di legge in discussione (ddl Alfano sulle intercettazioni) aiutano a fare sistema, anzi confondono ulteriormente le idee laddove ipotizzano l' estensione dell' obbligo di rettifica ex lege 47 del 1948 per tutti i “siti informatici”.
Altro problema è quello di definire la natura dell'attività svolta dal blogger e se a quest'ultima siano applicabili le stesse garanzie che qualificano la professione del giornalista rispetto alla mera attività di colui che manifesta (autorevolmente o meno) il proprio pensiero sul web.
Relativamente all'applicabilità ai singoli cittadini-non giornalisti della scriminante dell'esercizio di un diritto, la Cassazione - in una recente sentenza 31392 del 2008- ha chiaramente indicato come il diritto di cronaca e di critica discendano direttamente e “senza alcuna mediazione” dall'art. 21 della Costituzione e non sono quindi riservati ai giornalisti o a chi fa informazione professionalmente, ma all'individuo uti civis. Chiunque, quindi, e “con qualsiasi mezzo (sia anche tramite internet), può riferire fatti e manifestare opinioni e chiunque - nei limiti dell’esercizio di tale diritto (limiti, da anni, messi a punto dalla giurisprudenza) - può “produrre” critica e cronaca”.
A questo si aggiunga che parte della giurisprudenza statunitense è ancora più esplicita rispetto al tema della parificazione delle garanzie offerte al giornalista con quelle da attribuire al cittadino/blogger: ad esempio il segreto giornalistico è stato talvolta garantito anche a favore di chi gestisce un blog ed effettui raccolte di informazioni finalizzate poi alla stesura di un contenuto da diffondere al pubblico, come stretta applicazione del Primo Emendamento della Costituzione.
A ben guardare, questa sorta di avvicinamento tra giornalismo “tradizionale” e giornalismo dei cittadini avviene addirittura nelle due direzioni: si veda l' uso che il giornalismo tradizionale fa dei contenuti creati dagli utenti del web (cosiddetti user created contents). Sempre più spesso, infatti, le notizie vengono “bruciate” dai social network o giungono ai giornali attraverso il web: basti pensare a come, ad esempio, alcune informazioni provenienti da paesi con governi autoritari trapelino soltanto attraverso Internet o a come il cittadino contribuisca comunque alla formazione del contenuto/notizia dei giornali “tradizionali” attraverso l'invio sollecitato, in situazioni drammatiche ad esempio, di foto o testimonianze dai luoghi del disastro.
Capita dunque sempre più di frequente che i giornali tradizionali si avvalgano di contenuti che si trovano sulla rete. Se per il giornalista professionista si pone in primo luogo il problema della attendibilità delle fonti reperibili sul web, probabilmente si farà sempre più stretto anche il  problema della utilizzabilità dei contenuti trovati su internet: non tutto quello che è sulla rete è riproducibile solo perché già pubblicato. Di fatto resta sostanzialmente senza tutela efficace dal punto di vista del diritto d'autore, ad esempio, quel cittadino/internauta che del contenuto è stato il “creatore” (di sicuro sarebbe auspicabile anche dagli utenti/creatori una maggiore consapevolezza sui limiti e sulle condizioni alla diffusione di alcuni contenuti in rete). Non a caso, ad esempio negli USA, circolano codici di condotta per far fronte alle questioni che sorgono relativamente all'uso di contenuti creati dagli utenti; e a livello comunitario si comincia a percepire la necessità di una riflessione sul tema.

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