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Articolo 21 - Editoriali
Fermo di polizia preventivo
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di Piero Ricca

Trascinato via dalla polizia, fermato per due ore e mezza e diffidato. Questo mi è accaduto ieri a Milano. Motivo? Criticai Berlusconi.
Ormai è chiaro: nell'Italia di Berlusconi è riconosciuto solo il diritto all'applauso. Ne ho avuto conferma alle 15 di ieri, sabato 29 gennaio, quando sono stato spinto in un'auto da diverse persone qualificatesi come agenti di polizia, e portato a forza in un commissariato del centro di Milano, da cui mi hanno liberato due ore e mezza dopo.
Alle 15 mi trovavo davanti al palazzo delle Stelline in corso Magenta, dove stavo per entrare a un convegno organizzato dalla Fondazione Craxi (ero già stato in mattinata a quel convegno e - tranne qualche domanda importuna di alcuni agenti della Digos - avevo potuto partecipare tranquillamente e prendere appunti per un articolo che ho in mente di scrivere per una testata on line).

Torno per la sessione pomeridiana, e trovo nell'atrio un ampio schieramento di forze dell'ordine. E' atteso Berlusconi. Un agente all'ingresso mi chiede il documento, glielo do. Mi chiedono di uscire in strada. Esco. Dopo dieci minuti mi dicono che devo "seguirli in commissariato per accertamenti relativi alla mia identità".
Alla mia richiesta di chiarimento, mi dicono che "un dirigente vuole parlarmi". Intanto trattengono il mio documento. Dico: "Io da qui non me ne vado, perché non ho fatto nulla di male e sono un libero cittadino incensurato; fate pure i vostri controlli e poi ridatemi il documento". Sono circondato da agenti, ribadiscono che devo seguirli. Mi appunto i nomi di alcuni di loro. Poi arriva un ordine: "Caricatelo in auto!". Faccio resistenza passiva. In cinque mi trascinano con la forza in un'auto. C'è anche una donna, l'agente Bonamico. Assistono alla scena varie persone, tra le quali giornalisti e fotografi. Nessuno parla. Annuncio agli agenti a voce alta: "Questo è un abuso, siete fuori legge! Mi toccherà denunciarvi". Mi portano al commissariato di San Sepolcro.
In quella piazza - neanche a farlo apposta - aleggiano memorie mussoliniane.

Rimango in un ufficio, in compagnia di un simpatico agente di polizia da trent'anni in servizio a Milano, che si dice costernato quanto me. Prendo nota di ogni dettaglio. Non c'è nessun dirigente che vuole parlarmi, nemmeno il capo del commissariato dott. Vincenzo D'Agnano. Mi trattengono fino alle 17,30. Poi la dott. Pagani mi congeda dicendomi: "Abbiamo sviluppato il suo nominativo. La diffido a ritornare di nuovo al palazzo delle Stelline. Lei ha precedenti di ordine pubblico". Mi viene restituito il documento ed esco. Un amico mi chiama, ha letto le agenzie. Tra le altre l'Asca, che dice che io non avrei dato il documento alla polizia e che avrei offeso alcuni agenti: l'esatto opposto della verità, complimenti.

Morale? In questo paese solo il consenso è libero. I cittadini che vengono identificati come possibili contestatori vengono trascinati via e diffidati, quando il capo di turno si espone in pubblico, magari per commemorare un ex latitante. Sotto il governo dei prescritti l'eventuale dissenso viene preventivamente impedito dalle forze dell'ordine. Come negli anni gloriosi del ventennio.
Lunedì inoltrerò un esposto alla Procura della Repubblica di Milano. Cosa che decisi di non fare per un motivo analogo lo scorso giugno quando ricevetti il medesimo trattamento davanti al seggio dove era atteso per il voto il signor Berlusconi (era la volta successiva al famoso "comizio" a urne aperte). Ero lì - annunciata la mia presenza alla stampa - a "vigilare" sulle regole. Mettevo in pericolo l'ordine pubblico, dunque.
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