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Articolo 21 - Editoriali
DA Milano a Roma, lo sciopero della fame degli "invisibili"
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di Bruna Iacopino

Sono gli invisibili, uomini e donne che non hanno diritto ad un nome, perchè di diritti non ne hanno nessuno. Sono i migranti, quelli che il Governo ha deciso vengano etichettati come “clandestini” rinchiusi nei Cie (ex Cpt) sparsi in tutta Italia, quelli che allo sciopero del primo marzo avrebbero voluto esserci, ma da dietro una sbarra tutto diventa lontano e irreale. Sono loro che, in questi giorni, in queste settimane, stanno conducendo una protesta convinta e silenziosa. In molti al Cie di via Corelli a Milano, al Gradisca d'Isonzo e a Ponte Galeria, stanno portando avanti uno sciopero della fame di cui poco o nulla è trapelato. Bisogna scandagliare la rete, guardare tra le pagine di blog quasi “clandestini” anch'essi, per recuperare qualche lume e poter dar voce e corpo a quanto in queste ore sta avvenendo. Al Cie di Via Corelli lo sciopero è iniziato il 3 marzo, quasi 10 giorni fa, a raccontarlo in forma di diario raccogliendo le testimonianze dei reclusi e la loro difficoltà in questa folle impresa, folle perchè pressochè inascoltata, è il blog “Macerie e storie di Torino”... Torino e non Milano perchè la protesta ha inizio all'interno dei Cie proprio in rapporto ad alcuni ultimi accadimenti che vedono Torino in primo piano.
Il 23 febbraio di quest'anno, nella città piemontese, sono stati tratti in arresto sei ragazzi, identificati come “anarco-insurrezionalisti”, facenti parte della rete antirazzista torinese. L'accusa nei loro confronti: associazione a delinquere finalizzata a vari reati. Fra i reati contestati anche le proteste inscenate di fronte al Cie di Torino e alla Croce Rossa.
Come per una sorta di reazione a catena, la rivolta scoppia (circondata dal silenzio più totale) all'interno del Cie di Ponte Galeria ( a quanto si apprende da poche fonti, tra le cause scatenanti, la mancanza di riscaldamenti). Nella notte a cavallo del primo marzo i migranti cominciano a incendiare le coperte, dall'intervista rilasciata da un migrante rinchiuso a Ponte Galeria e trasmessa da Radio Ondarossa, si sente confusamente parlare di coperte date alle fiamme, manganellate, gente portata in isolamento... Se ne parla durante il corteo organizzato a Roma per il 1° marzo, non ne parlano i media. I reclusi ( spiega il corrispondente radio) avrebbero approfittato del momento di distrazione generale dovuto al passaggio di consegne di Ponte Galeria, dalla Croce Rossa alla cooperativa Auxilium, già gestore del Cara di Bari e finita sotto inchiesta in relazione alla gara d'appalto per l'aggiudicazione dell'appalto.
I media ufficiali non raccontano della rivolta all'interno del Cie, ma qualche giorno addietro le agenzie rilanciano il fallito tentativo, da parte di due consiglieri regionali del Lazio, facenti parte della Federazione della sinsitra Ivano Peduzzi e Maria Antonietta Grosso, di poter accedere al Cie di Ponte Galeria. In una nota diramata il 10 marzo si legge: “ E' la seconda volta che ci viene comunicato che non vi e' la possibilita' di visitare il centro di permanenza temporanea per stranieri di Ponte Galeria nonostante vi siano rinchiusi molti emigrati che versano in gravi condizioni e nonostante da alcuni giorni si attendeva una nuova presenza della Croce Rossa Italiana per tutelarne la salute.” “Denunciamo tale situazione - prosegue la nota - che vede i migranti trattati come animali e mortificata la loro dignita'. Gli stranieri reclusi non solo vedono i loro sogni di una vita migliore svanire nel nulla ma subiscono, in molti casi, come alcuni di loro denunciano, un trattamento che offende la nostra stessa idea di civilta'. Oggi a Ponte Galeria e' iniziato uno sciopero della fame a dimostrazione che la nostra richiesta di una visita al centro non era infondata. Continueremo, dunque, a sollecitare le autorita' competenti per ottenere un'autorizzazione che in quanto consiglieri regionali incredibilmente non puo' esserci negata”.
Il 4 marzo, gli stessi blog antirazzisti pubblicano una lettera scritta dai migranti del Cie di via Corelli che giutifica così lo sciopero che hanno deciso di intraprendere: “ Siamo stanchi di non vivere bene. Viviamo come topi. La roba da mangiare fa schifo. Viviamo come carcerati ma non siamo detenuti. I tempi di detenzione sono extra lunghi perché 6 mesi per identificare una persona sono troppi. Siamo vittime della Bossi Fini. C’è gente che ha fatto una vita in Italia e che ha figli qua, gente che ha fatto la scuola qui e che è cresciuta qui. Non è giusto. Non siamo delinquenti...”
E concludono: “ Entrando qui eravamo tutti sani e poi usciamo che siamo pazzi. Inoltre rimarremo in sciopero fino a che non fanno qualcosa per quelli arrestati di Torino che hanno fatto tante cose per noi e che ora sono in carcere.”
Le storie di questi uomini e queste donne ( raccontate da radio indipendenti, blog, siti internet dedicati...) si somigliano: molti di loro hanno vissuto per anni in Italia, avevano un lavoro e in alcuni casi, una famiglia che li aspetta fuori.
Denunciano condizioni precarie, mancanza di cure mediche, provocazioni, pestaggi, tempi di identificazione inspiegabilmente lunghi, psicofarmaci somministrati quotidianamente, tentativi di suicidio e gesti di autolesionismo. Non ultimo il caso di Boukili Whid, gettatosi dalla recinzione che circonda proprio Ponte Galeria.
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