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Articolo 21 - Editoriali
L’Italia si è fermata in Molise
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di Nicola Tranfaglia*

C’è qualcuno in Italia che sa cosa stia succedendo da molti anni nel Molise? È la regione italiana con meno abitanti (320mila, secondo le ultime stime), nello stesso tempo il “Regno del Molise” - come lo chiama Vinicio D’Ambrosio, autore del bestseller locale uscito l’anno scorso e ormai alla quarta edizione (Il Chiostro, pag. 510, euro 18) - ha il più alto numero a livello nazionale di dipendenti della Regione: 2,79 ogni mille abitanti contro lo 0,39 in Lombardia, lo 0,59 del Veneto, lo 0,64 del Lazio e dell’Emilia Romagna. L’organico molisano prevede 981 dipendenti. Oltre 300 sono responsabili di ufficio. Spropositato il numero dei dirigenti: un centinaio più sei direttori generali. La Lombardia impiega tre dirigenti ogni 100 mila abitanti, il Molise 27. Tutto questo determina un costo di funzionamento di 171 euro l’anno per abitante, il doppio quasi dei 93 euro registrati nella media delle regioni a statuto ordinario e complessivamente 55 milioni di euro iscritti a bilancio.

Secondo un’indagine del Sole 24 orein Molise, governato dal presidente Michele Iorio del Popolo della Libertà, vicino a Berlusconi, il 30,3 per cento dei tributi finisce in stipendi al personale. Una percentuale stratosferica, se si pensa che in Lombardia la quota è del 2,1 per cento. La media nazionale è del 10,4 per cento. per non parlare delle due sedi regionali (del Molise) che Iorio ha creato a Roma quando le altre regioni, anche le più grandi e lontane, ne hanno ovviamente una sola. Ci sono altre peculiarità del gigantesco regno creato dal presidente che è in grado di controllare la televisione locale e tutti i quotidiani regionali, in modo da non lasciare all’opposizione nessuno strumento di comunicazione, se si esclude una coraggiosa rivista mensile che si chiama il Ponte diretta da Paolo De Chiara. Ma vale la pena spiegare come Iorio, che è già stato per dieci anni sindaco di Isernia e che è una presenza costante da quasi vent’anni nella politica molisana, ha ottenuto il grande consenso di cui oggi, a un anno dalle prossime elezioni regionali, continua (forse) ad avere. D’Ambrosio, autore de Il regno del Molise lo ha spiegato, ricorrendo al bel libro Il costo della democrazia scritto da Massimo Villone e Cesare Salvi e pubblicato da Mondadori nel 2005: «Supponiamo che io sia uno eletto a funzione di governo, un sindaco, un presidente di provincia o un governatore, ho avuto una campagna elettorale complicata, difficile e costosa, ho avuto i miei ambienti di riferimento, amici, sostenitori, squadre di volontari e imprenditori vicini a me.
Adesso si aspettano che io dia delle risposte, niente di illecito, beninteso, ma c’è l’imprenditore che vuole il sostegno all’impresa, l’associazione di volontari che vuole l’affidamento del servizio sociale (...), allora io che faccio, mi rivolgo al dirigente messo là da una giunta precedente, persona per bene, rigorosa, onesta, pignolo, spacca il capello in quattro, osserva le regole, dice che la Pubblica Amministrazione non deve fare nessun favoritismo.

Che posso fare?] Lascio lì il dirigente, però riorganizzo l’amministrazione. Prendo pezzi dagli uffici, li sposto, faccio un altro dipartimento, un’altra area. Le cose che mi interessano le metto da un’altra parte quindi il dirigente sta là ma non si occupa più delle cose mie. A capo di questa nuova struttura metto un nuovo dirigente, un esterno assunto a contratto, naturalmente un amico mio. Nei procedimenti che mi interessano, che producono gli atti che mi interessano metto un comitato di esperti. Naturalmente nel comitato di esperti lì sono tutti amici miei. Posso fare ancora un’altra cosa: prendo un pezzo di attività che mi interessa, lo esternalizzo per così dire. Lo metto in una società a partecipazione pubblico-privato, in una Spa nella quale io partecipo come ente. Mi nomino il presidente, mi nomino i consiglieri di amministrazione, in tutto o in parte, revisori, sindaci e quindi sempre amici miei, beninteso, gente di cui mi fido, e come effetto collaterale se devono svolgere questa attività magari faccio assumere quei 30/40 giovanotti che mi hanno dato una mano ad attaccare i manifesti in campagna elettorale. In tutto questo non c’è nessun illecito, diciamo. Io non firmo una carta, non tocco nessuno, non ci sono tangenti, non ci sono mazzette, si orienta l’amministrazione verso un risultato che è quello della produzione del consenso». La truffa è perfetta, come è perfetto il connubio politica-affari. Si violano leggi e Costituzione nei loro articoli fondamentali, si crea un regno con poteri quasi assoluti e si ammazza l’opposizione, se non c’è subito nella società e nei partiti una grande riscossa democratica.

*da L'Unità

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