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Articolo 21 - Editoriali
San Giovanni, fine degli stereotipi
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di Federico Orlando

Dev'essere stata  la piazza di san Giovanni non piena (rispetto alle attese sproporzionate) a riportare in Silvio Berlusconi un'ombra di quel dubbio che è stato sempre il grande estraneo alla sua cultura: come lo è, in genere, a tutti gli sciamani, compresi quelli della politica (Rosy Bindi). Perciò, dopo aver diretto il teatrino delle marionette che giurano in coro (mancava solo grembiule e bavaglino) sugli immancabili destini delle regioni loro affidate, sussurra ai suoi gerarchi che sparano sul questore di Roma: “Ma quanti eravamo veramente”? Dubbio ripetuto  l'indomani a  Bologna con  la  semantica ambigua delle riforme,  specie quelle “presidenziali”: che un giorno si riferiscono al Quirinale e l'altro a Palazzo Chigi, conservando una legge elettorale che nega qualsiasi presidenzialismo.
Ne resta solo lo stereotipo, tragica invenzione dei media per la massa, come si sa da un secolo, ma che la politica continua a praticare. Il ricordo va al più grande giornalista americano della prima metà del Novecento, che accompagnò la guerra di liberazione in Europa dagli sciamani, e di cui noi ragazzini potemmo leggere i capolavori negli anni della ricostruzione.  Walter Lipmann aveva pubblicato già nel 1921 L'opinione pubblica, definendo “stereotipi” le visioni distorte o semplicistiche che con l'aiuto dei media ci facciamo della realtà. Spianava, senza saperlo, la strada a Marshall McLuhan, che qualche decennio dopo avrebbe affermato tout court che nel nostro tempo “il media è il messaggio”.  Il comportamento di folle ingenue e oneste, comprese dunque quelle di piazza san Giovanni, corrisponde alle immagini mentali che ci costruiamo per semplificare la realtà e capirla secondo come possiamo o, se in malafede,  come ci fa comodo.
Finora Berlusconi ha fatto esattamente il costruttore di stereotipi. Ripetendo ogni giorno nei media, di cui vuole l'esclusiva, sempre le stesse formule, s'incontra con le immagini mentali che il teledipendente si è costruite per darsi una chiave di lettura della realtà. Ma dal fallimento umano e politico dei suoi ultimi due anni da premier, Berlusconi sente che la camicia di forza degli stereotipi sta per lacerarsi. E, nelle ultime 48 ore ha cominciato a concedere qualcosa che gli consenta di mantenersi in sintonia con immagini mentali in movimento. Così, risalendo da Roma a Firenze e a Bologna, ha rinunciato a ripetere che in Italia la sovranità è in mano alla magistratura, e ha ridimensionato l'assalto alla sola “Magistratura democratica”. Dev'essere stato l'effetto finale Bari-Frisullo.
Ma, fatta la piccola concessione semantica e confermata la sua confusione mentale sulle riforme (da 15 anni parla di presidenzialismo indicando una volta il Quirinale un'altra Palazzo Chigi, e non facendone mai una), fugge dal faccia a faccia televisivo con Bersani: perché il confronto fra due tesi opposte  aprirebbe spazi di pensiero critico nei cittadini, mettendo in  crisi lo stereotipo su cui si reggono il consenso e la fede religiosa nello sciamano. I suoi giornali, fingendo di non vedere, parlano della manifestazione romana come del “vento” che torna a spirare nelle afflosciate vele della destra. In  realtà, i grandi eventi mondiali succedutesi di poche ore alle nostre manifestazioni del sabato - dalla storica riforma di Obama, che dà assistenza sanitaria  a 35 milioni di americani, nuovo New Deal, alla schiacciante vittoria del centrosinistra nelle regionali francesi -, confermano anche il doppio fallimento a livello occidentale del modello berlusconiano: quello dell' “arricchitevi”, riservato ai forti e prepotenti, e quello del presidenzialismo individualizzato, quando non si è né De Gaulle né si ha alle spalle un sistema americano. In Italia manca sia l'uomo sia il sistema: l'unico richiamo storico è quello di Mussolini, “temperato” e alla fine abbattuto dalla diarchia; e l'unico stereotipo dominante è quello del plebiscito, del rapporto diretto e quasi privato tra il popolo e il capo carismatico. Che in virtù del carisma supera qualsiasi Costituzione.
Insomma, non pare proprio che da Roma abbia cominciato a soffiare vento di riscossa nelle vele berlusconiane. Semmai il contrario. Il “grande vento dei cieli”, come ci confortava Lipmann tra le macerie della guerra, introducendo la sua bibbia La Società giusta, soffia per i popoli, non per gli sciamani.

 

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