Articolo 21 - Editoriali
Presidenti
di Montesquieu
Finalmente in campo una proposta di riforma costituzionale per l’Italia : chiara, non estemporanea ,collaudata in paesi di democrazia profonda, a partire da quello che di democrazia ha addirittura fatto oggetto di esportazione. L’elezione diretta del capo dello Stato . Perché dire no? Se il nostro problema,come dicono aspiranti statisti e fondazioni di tendenza, è quello di snellire la decisione pubblica,a partire ovviamente da quella politica,si può pensare che chi non ci stia si faccia prendere dal consueto e stucchevole gioco di interdizione e inibizione in voga nei soliti, ripetitivi,ultimi quindici anni .
Sulla carta, la proposta ha una sua intima ,sperimentata coerenza con l’obiettivo ,tanto da chiedersi se non ci si poteva pensare prima, e tutti assieme. Ce l’ha in entrambe le versioni che ,grosso modo,conosciamo,quella francese e quella degli Stati uniti. Solo che,quando si passa dalle parole alla realtà concreta,soprattutto in tema di istituzioni da riformare ,viene fuori un problema che si chiama,niente meno,Italia .L’Italia , proprio l’Italia degli ultimi quindici anni: nei quali, se non si è passati dal quotidiano pestaggio verbale a qualcosa di peggio ,lo si deve in buona parte al fatto che al posto di un capo dello Stato decisore monocratico, la nostra Costituzione ha previsto una figura sprovvista di potere di governo. Una figura che non deve fare uso o mostra di muscoli,e che,sempre da quindici anni,la nostra fortuna ci sta fornendo in più versioni sempre fedeli al modello costituzionale ,e addirittura aggiornate alle esigenze delle nuove ,non previste difficoltà. Una figura pacificatrice più che decidente,più armonizzante che dominante ,un’ argine contro eventuali tentazioni di usare i rapporti di forza per la regolazione dei rapporti istituzionali, pericolo sempre in agguato se i meccanismi vengono affidati alla buona inclinazione delle persone. Come è successo nei rapporti tra potere privato e tutela della cosa pubblica,le qualità soggettive dei singoli non sono una possibile alternativa alle regole oggettive, di per sé non facili da far rispettare.
.
Non si era ancora registrata ,nella sua univocità, la proposta , che alla stessa se ne è affiancata una seconda, identica nella provenienza e indifferente nell’ equivalenza: basta che qualcuno sia eletto dal voto popolare, sia esso capo dello Stato (con uso di governo,si presume,ma la chiarezza scemante fa sorgere dei dubbi) o solo del governo. Nell’ultimissima versione,la scelta tra i due modelli ricadrebbe sul “ popolo”: non essendo previsti referendum preventivi, toccherà ai sondaggi, o si virerà su una consultazione di parte ,modello gazebo. L’indifferente equivalenza toglie forza ad entrambe le alternative,e fa nascere il sospetto che il fine non sia necessariamente una maggiore penetratività ed efficacia dell’attività amministrativa ,un più elevato ritmo nell’esercizio delle funzioni dell’apparato pubblico e dell’impresa economica. Processo alle intenzioni? Semmai,conferma di una volontà ossessiva,quella di mettere gerarchicamente in fila le istituzioni: tutte le altre istituzioni dietro la più importante ,quella forte dell’elezione diretta.
Decideranno le opposizioni, se quello che altrove funziona da decenni,al prezzo di un equilibrio istituzionale la cui assenza è il primo problema del nostro sistema ,può essere il menu di un tavolo comune, sempre che vi sia un invito per loro.
Lo dovrà decidere anche la stessa maggioranza, al cui interno si sono sviluppati i germi di una dialettica ancora ieri imprevedibile ed assai mutevole ,anche sul piano della visione istituzionale. Sta di fatto che le due necessità preliminari e imprescindibili di un equilibrio costituzionale, la restituzione della sovranità ai legittimi titolari e un recuperato assetto basato sulla pari dignità delle istituzioni,restano rispettivamente l’una irrisa nell’elogio alla legge elettorale vigente ,l’altro ignorato se non calpestato nei comportamenti.
Abbiamo da poche ore ripassato la grande lezione del presidenzialismo americano, che delimita la forza dell’istituzione presidenziale con la grande forza e l’insopprimibile autonomia di quel parlamento. A quel prezzo ,di avere anche da noi un parlamento, con tutti i suoi deputati e senatori , dotato di quella forza e di quella autonomia ,e di averlo contestualmente all’introduzione di un potere di governo eletto dal popolo, l’ipotesi presidenziale potrebbe essere presa in considerazione. Abbiamo ammirato,sempre recentemente , al termine di un’elezione indecifrabile ,il rispettoso inchino del candidato dichiarato sconfitto alla scelta del nuovo presidente degli stati uniti da parte della corte suprema costituzionale,senza un rimbrotto,senza un’accusa di parzialità.
Noi? A volte l’impressione di un made in Italy costituzionale, non sempre geniale come in altri settori, sembra consegnarci un paradosso. La nostra Costituzione disegna , senza possibilità di equivoci, un sistema parlamentare , e noi ci comportiamo come nel più incisivo dei regimi presidenziali. La stessa Costituzione sottolinea le linee di equilibrio tra i poteri, i famosi pesi e contrappesi,e da noi si finge di non averli. Forse è il caso di aggiornare i manuali sul tema ,introducendo ,accanto al semipresidenzialismo francese e al presidenzialismo d’oltre oceano, un terzo modello, non scritto, quello italiano. Con il rischio che ,facile da introdurre e da applicare ,libero da fastidiosi impacci,possa divenire il modello per tante neorepubbliche che sfiorano la democrazia. Come dire ,il modello italo africano. Buono anche per gli amici di alcune repubbliche centroasiatiche. Buono per i nostri amici nel mondo.
Sulla carta, la proposta ha una sua intima ,sperimentata coerenza con l’obiettivo ,tanto da chiedersi se non ci si poteva pensare prima, e tutti assieme. Ce l’ha in entrambe le versioni che ,grosso modo,conosciamo,quella francese e quella degli Stati uniti. Solo che,quando si passa dalle parole alla realtà concreta,soprattutto in tema di istituzioni da riformare ,viene fuori un problema che si chiama,niente meno,Italia .L’Italia , proprio l’Italia degli ultimi quindici anni: nei quali, se non si è passati dal quotidiano pestaggio verbale a qualcosa di peggio ,lo si deve in buona parte al fatto che al posto di un capo dello Stato decisore monocratico, la nostra Costituzione ha previsto una figura sprovvista di potere di governo. Una figura che non deve fare uso o mostra di muscoli,e che,sempre da quindici anni,la nostra fortuna ci sta fornendo in più versioni sempre fedeli al modello costituzionale ,e addirittura aggiornate alle esigenze delle nuove ,non previste difficoltà. Una figura pacificatrice più che decidente,più armonizzante che dominante ,un’ argine contro eventuali tentazioni di usare i rapporti di forza per la regolazione dei rapporti istituzionali, pericolo sempre in agguato se i meccanismi vengono affidati alla buona inclinazione delle persone. Come è successo nei rapporti tra potere privato e tutela della cosa pubblica,le qualità soggettive dei singoli non sono una possibile alternativa alle regole oggettive, di per sé non facili da far rispettare.
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Non si era ancora registrata ,nella sua univocità, la proposta , che alla stessa se ne è affiancata una seconda, identica nella provenienza e indifferente nell’ equivalenza: basta che qualcuno sia eletto dal voto popolare, sia esso capo dello Stato (con uso di governo,si presume,ma la chiarezza scemante fa sorgere dei dubbi) o solo del governo. Nell’ultimissima versione,la scelta tra i due modelli ricadrebbe sul “ popolo”: non essendo previsti referendum preventivi, toccherà ai sondaggi, o si virerà su una consultazione di parte ,modello gazebo. L’indifferente equivalenza toglie forza ad entrambe le alternative,e fa nascere il sospetto che il fine non sia necessariamente una maggiore penetratività ed efficacia dell’attività amministrativa ,un più elevato ritmo nell’esercizio delle funzioni dell’apparato pubblico e dell’impresa economica. Processo alle intenzioni? Semmai,conferma di una volontà ossessiva,quella di mettere gerarchicamente in fila le istituzioni: tutte le altre istituzioni dietro la più importante ,quella forte dell’elezione diretta.
Decideranno le opposizioni, se quello che altrove funziona da decenni,al prezzo di un equilibrio istituzionale la cui assenza è il primo problema del nostro sistema ,può essere il menu di un tavolo comune, sempre che vi sia un invito per loro.
Lo dovrà decidere anche la stessa maggioranza, al cui interno si sono sviluppati i germi di una dialettica ancora ieri imprevedibile ed assai mutevole ,anche sul piano della visione istituzionale. Sta di fatto che le due necessità preliminari e imprescindibili di un equilibrio costituzionale, la restituzione della sovranità ai legittimi titolari e un recuperato assetto basato sulla pari dignità delle istituzioni,restano rispettivamente l’una irrisa nell’elogio alla legge elettorale vigente ,l’altro ignorato se non calpestato nei comportamenti.
Abbiamo da poche ore ripassato la grande lezione del presidenzialismo americano, che delimita la forza dell’istituzione presidenziale con la grande forza e l’insopprimibile autonomia di quel parlamento. A quel prezzo ,di avere anche da noi un parlamento, con tutti i suoi deputati e senatori , dotato di quella forza e di quella autonomia ,e di averlo contestualmente all’introduzione di un potere di governo eletto dal popolo, l’ipotesi presidenziale potrebbe essere presa in considerazione. Abbiamo ammirato,sempre recentemente , al termine di un’elezione indecifrabile ,il rispettoso inchino del candidato dichiarato sconfitto alla scelta del nuovo presidente degli stati uniti da parte della corte suprema costituzionale,senza un rimbrotto,senza un’accusa di parzialità.
Noi? A volte l’impressione di un made in Italy costituzionale, non sempre geniale come in altri settori, sembra consegnarci un paradosso. La nostra Costituzione disegna , senza possibilità di equivoci, un sistema parlamentare , e noi ci comportiamo come nel più incisivo dei regimi presidenziali. La stessa Costituzione sottolinea le linee di equilibrio tra i poteri, i famosi pesi e contrappesi,e da noi si finge di non averli. Forse è il caso di aggiornare i manuali sul tema ,introducendo ,accanto al semipresidenzialismo francese e al presidenzialismo d’oltre oceano, un terzo modello, non scritto, quello italiano. Con il rischio che ,facile da introdurre e da applicare ,libero da fastidiosi impacci,possa divenire il modello per tante neorepubbliche che sfiorano la democrazia. Come dire ,il modello italo africano. Buono anche per gli amici di alcune repubbliche centroasiatiche. Buono per i nostri amici nel mondo.
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