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Articolo 21 - Editoriali
La "giustizia celtica" che conviene al signor B.
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di Franco Cordero

da La Repubblica

Due episodi rinfocolano gli spiriti animali d´una destra belluina o lassista secondo i rei. Nel giudizio abbreviato contro imputati d´associazione terroristica un giudice si dichiara incompetente ma revoca la misura cautelare dissertando sulla qualità dei fatti, e sbaglia perché tali decisioni spettano all´organo competente. Nel secondo caso vengono alla sbarra delle nomadi: l´accusa è tentato sequestro di persona ma, dicono i resoconti, manca quel commencement d´exécution fuori del quale non esiste tentativo; le parti pattuiscono una pena d´otto mesi, sospesa, sotto il titolo "tentata sottrazione d´una persona incapace"; e il tribunale l´applica; senza quest´accordo m´aspetterei una condanna per minaccia (massimo 1 anno) o tentato furto con strappo (minimo 1 anno, massimo 6, diminuiti da uno a due terzi); se la minaccia fosse seria ("la borsa o il bambino"), il nome penale sarebbe estorsione (da 5 a 10 anni); e l´ipotesi ripugna a una clinica aliena da iperboli azzardose. L´esito sta dunque nelle regole: gli accordi sulla pena non sono un trucco curialesco; li codificano gli artt. 444-48. Ma l´Italia al governo freme. L´ingegnere padano succeduto ad Alfredo Rocco racconta d´avere perso il sonno, mentre galoppini del suo partito allestiscono fiaccolate, indi spiega quale sia la missione delle toghe: emettere responsi conformi al "sentimento popolare" d´un "dato momento storico"; l´attuale richiede "pene esemplari"; e inutile dirlo, sensibilità nel distinguere le persone; l´ancora influentissimo ex-ministro della Difesa, sodale del quasi padrone d´Italia, merita riguardi indulgenti, compensati dalla mano dura sui rifiuti sociali, nella cui compagnia cade de iure chiunque pensi storto. Infatti, vuole un pubblico ministero eletto dal popolo; e nella Casa delle cosiddette libertà è dogma l´ufficio d´accusa ancorato al governo: lo chiamano eufemisticamente "carriera separata".
A proposito d´eufemismi, ne alleva tanti il Terzo Reich, dove la Judenfrage, questione ebraica, richiede un´Endlösung, soluzione finale, e "il lavoro rende liberi", scritto sulla porta d´Auschwitz: nel cui anniversario, 27 gennaio, appare sul posto anche il mago d´Arcore; depone un lumino, poi borbotta qualcosa; il senso è che l´odio sia orribile; dobbiamo estirparlo dai cuori, bellissimo pensiero, se non suonasse ad hominem. L´Unico recita sé stesso anche lì, impenitente. La frase va intesa al lume d´altre sue: «io sono il bene»; dove governa lui, fiorisce l´amore; gli avversari portano «miseria, terrore, morte»; «la democrazia è in pericolo». Mi sono permesso la digressione perché sta a pennello: l´ignaro ministro ripete in dialetto padano stereotipi tedeschi anni Trenta e Quaranta; "il sano sentimento popolare" era un Leimotiv della dottrina penalistica politicamente corretta. Anche lo stile segnala vaghe parentele: adunate, rune, camicie, elmi, spade, riti fluviali; sangue e terra, parole d´alto appeal; e come talvolta avviene nei ricorsi della storia, la tragedia diventa farsa, ma il ridicolo nasconde dei pericoli. Non è puro caso che nel secondo governo B. un soi-disant celto sieda in via Arenula: i gangli delle società evolute passano attraverso la funzione giusdicente; il riconquistatore voleva impadronirsene; l´opera richiede una scure manovrata da qualcuno sulla cui pelle gli argomenti in lingua colta scivolino come acqua tiepida; un ignorante dei rudimenti legali era il devastatore giusto. Sa scegliersi gli uomini.
In 44 mesi il crociato dell´amore affonda l´Italia agli ultimi posti nella scala dei paesi usciti dall´economia tribale, ma nelle riforme senza spese combina mirabilia: dovendo salvarsi dai giudizi che trascina, dissesta i codici; siamo l´Eldorado dei falsari in bilancio, bancarottieri, corruttori; l´imputato abbastanza ricco da pagarsi le ugole complica i processi finché i reati cadano estinti dal tempo, quando non esce trionfalmente, avendo fulminato le prove d´accusa con varie chicanes; privilegi parlamentari garantiscono de facto l´immunità penale; qua e là erompono i brulichii del malaffare organico; Stato e mafia coesistono, insegna una massima del realismo politico. Siamo ancora ai primi passi. Gl´insediati nel Palazzo sono baroni, infìdi, qualcuno riottoso ma infine ubbidienti: il sovrano li soverchia; e riformando l´ordinamento giudiziario, elaborano l´arnese d´un controllo ad unguem. Saremo tutti sudditi quando le procure dipendano dal ministro e la carriera dei giudici sia in mano al governo soperchiatore. A che punto stia la metamorfosi dello Stato in Signoria, lo dicono certe cautele: qualche avversario troppo astuto teme le opposizioni nette presupponendo un B. egemone, vita natural durante, o almeno fortissimo, interlocutore più che legittimo e magari utile; poi verranno i diadochi, come dopo Alessandro. Coesisteremo col berlusconismo, meno facilmente di quanto avvenga rispetto al potere mafioso, perché l´impero d´Arcore ha più denti e squame. In politica regna il diavolo, insegnava Lutero. Torniamo al rude parlatore che custodisce i sigilli. Se è lecito qualche riferimento storico, dal ridicolo al terribile, i battaglioni padani stanno a B. come le SA inquadrate da Ernst Röhm stavano al Führer, con una differenza importante: nel giugno 1934 Hitler stermina i quadri alti volendo acquisire gerarchie militari, industriali, finanzieri, burocrati, ai quali riesce ostica l´aggressiva volgarità dei miliziani; stupidi, s´illudono d´addomesticare Kniébolo, come lo chiama Ernst Jünger. Cadono 400 e più teste, inclusi alcuni estranei da liquidare nell´occasione (a esempio, l´ex presidente del consiglio generale Kurt von Schleicher e consorte). Dieci anni dopo, fortunosamente scampato alla bomba nella Tana del Lupo, riconosce l´errore. Non credo che B. lo ripeta. Gli viene troppo utile il braccio leghista negli equilibri interni.
? sintomo d´imbarbarimento che i dominanti vogliano una giustizia servile, feroce nel piccolo in spregio alla legalità, riguardosa verso i potenti. Speriamo che la neoplasia s´arresti. L´Italia futura dipenderà in larga misura dagli affari giudiziari. La sogno così: governi efficienti ai quali nessuno debba insegnare il self-restraint, perché sanno fermarsi; un Parlamento dove il malaffare non trovi asilo; regole inflessibili a tutela della convivenza civile, dall´antitrust ai conflitti d´interesse, sicché la bulimia berlusconiana non sia più nemmeno pensabile; partiti antagonisti nelle scelte contingenti, concordi su poche premesse capitali; giustizia equanime, indipendente, rapida, secondo norme conformi alla migliore cultura, altrettanto bene applicate, da giudici sopra la mischia, in un lessico nel quale non fioriscano più ermetismi ma le parole dicano quel che uno pensa, ridotte al minimo compatibile con l´esigenza del dire tutto l´importante; insomma, motivazioni trasparenti, meglio se lette subito, quando l´autore esce dalla camera di consiglio. Costano poco le fantasie e aiutano a vivere.

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