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Articolo 21 - Editoriali
Contraddizioni della sinistra
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di Giulio Anselmi

da La Repubblica

L´OBIETTIVO di Prodi è stato raggiunto: il decreto sul rifinanziamento della presenza militare italiana in Iraq non produrrà divisioni sul voto di oggi nella faticata alleanza del centrosinistra. Ma al prezzo di una contraddizione che, per diversi esponenti dell´Ulivo, rappresenta un errore strategico. I parlamentari dell´Unione, nell´incontro preliminare tenuto al loro interno, hanno individuato un metodo che ha consentito di superare la litania di contrapposizioni e dispetti tra ds di diversa osservanza, rutelliani, postdc, dipietristi cui ci hanno abituato. E si sono espressi a grande maggioranza per il "no", come se appartenessero già ad un´unica forza politica. tanto che i prodiani di sicura fede datavano a ieri sera la vera nascita dell´Ulivo, passato dallo stadio di progetto a quello di soggetto politico. Ma, al fondo, il malessere dei riformisti rimane.
Il meccanismo decisionale sperimentato e i comportamenti conseguenti si sono tradotti in una prova di unità che induce a ben sperare sulla tenuta della neonata maggioranza alla vigilia di una lunga stagione elettorale.
La due aree uliviste che si sono manifestate, non sono riconducibili alle appartenenze di partito: il che, da una parte, riduce il rischio di scontro tra alleati, ma dimostra dall´altra che le perplessità sulla decisione adottata sono diffuse. Dei circa trenta parlamentari contrari alla decisione presa (il dieci per cento del totale), venti sono diessini e una dozzina della Margherita. Ben pochi quelli acquartierati sulle posizioni di Rutelli e Marini, che si erano pronunciati a favore dell´astensione. E Prodi non ha resistito alla tentazione di sottolineare l´andamento della conta a lui favorevole con una battuta che non è proprio un segno di pace: «Non la definirei una corrente, ma un ramo dell´Ulivo, anzi un rametto».
La decisione del no, col tormentone che si trascinerà dietro, va con evidenza valutata in prospettiva elettorale.
C´è un´opinione pubblica di sinistra, composta non soltanto da elettori di Rifondazione e dei Verdi, risolutamente opposta all´intervento armato, che la dirigenza ds teme di scontentare e di disorientare, a prescindere dalla preoccupazione per la concorrenza di Bertinotti. Questo elettorato, impastato di antiamericanismo e contrario alla guerra senza sottigliezze teologiche sul suo essere giusta o ingiusta, comprenderebbe a fatica (o più probabilmente non comprenderebbe affatto) un voto che apparisse una sanatoria a posteriori: un riconoscimento postumo dell´unilateralismo di Bush e del frettoloso accodarsi berlusconiano all´insegna di un´operazione "di pace".
D´altra parte il governo, che si è limitato a pretendere l´approvazione delle nuove spese per il contingente in Iraq, senza accettare di ridiscutere il quadro della presenza italiana nella nuova situazione che si è determinata dopo le elezioni, come chiedeva l´opposizione, le ha fornito più di una giustificazione per il rifiuto.
Ma tutto ciò non basta a dissipare la sensazione di una contraddizione profonda. Fassino ha probabilmente ragione quando dice che il suo "no" è molto diverso da quello di Bertinotti. E D´Alema ha spiegato da par suo che l´opposizione alla missione italiana e al suo rifinanziamento non coincide con la richiesta di un ritiro immediato. Ma i loro distinguo appaiono troppo sottilmente tattici. Il segretario ds ha dichiarato all´indomani del voto in Iraq che "i veri resistenti" erano gli otto milioni di elettori recatisi alle urne malgrado le minacce di morte, gran parte del centrosinistra ha manifestato orgoglio per il ruolo dei militari italiani e il loro contributo a una tale dimostrazione di democrazia. Ieri ha avuto buon gioco Berlusconi, intervenendo in Senato, a manifestare la sua meraviglia. C´è coerenza tra quelle parole e un voto che, logicamente, comporterebbe il rientro delle nostre truppe? E per di più proprio mentre dalla fragilissima democrazia irachena ci giungono attestazioni di gratitudine e inviti a restare? Mentre festeggia la dimostrazione data di essere una forza elettoralmente competitiva, il centrosinistra deve interrogarsi sulle prove che le riescono, e su quelle che manca, della sua futura capacità di governo.
L´attenzione e la simpatia dei moderati delusi da Berlusconi non si guadagnano diffondendo la sensazione di essere ossessionati dal fantasma di Bertinotti, si tratti di Iraq o di primarie. Ma suscita perplessità anche in una buona parte della sinistra lo spettacolo di un "no" che si nasconde furbescamente dietro la logica dei rapporti di forza in Parlamento per evitare il ritiro con le sue conseguenze internazionali. E fa un curioso effetto Fassino, affermando che domani la politica estera dell´Ulivo potrebbe sorreggersi su voti da cercare nel Polo. Quanto a Berlusconi, stava offrendo una discreta interpretazione da statista, limitandosi a cedere all´umana tentazione di attaccarsi qualche medaglia, quando il ministro Gasparri è riuscito a far finire tutto in vacca. La sua uscita è un esempio di intolleranza: chi vota no è complice dei terroristi. Fortunatamente per l´opposizione, la destra riesce a mostrarsi scomposta e sgangherata anche quando avrebbe buone carte da giocare.

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