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Articolo 21 - Editoriali
Bipolarismo ringhioso, lo chiama Amato
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di Montesquieu

La nettezza e lâ??ovvia autorevolezza con cui Giuliano Amato si è espresso su Repubblica a favore della elezione di politici alla Consulta impone, a chi ha sostenuto la tesi contraria, piena disponibilità a riesaminare le proprie posizioni. Eâ?? il minimo.
Convenendo, per iniziare, su gran parte delle argomentazioni alla base della tesi di Amato. Dalla altissima funzione di politica istituzionale della Consulta, che si riflette sulla necessaria â??politicitàâ? della sua composizione; al giudizio altamente positivo sul ruolo svolto da illustri giudici con un passato parlamentare; alla fragilità o allâ??ipocrisia del mito del tecnico â?? magistrato o docente â?? indipendente o addirittura privo, povero lui, di convinzioni politiche. Tutte ragioni che hanno portato lâ??Assemblea costituente a dosare la miscela di cui  ancora si nutre la Corte Costituzionale.

Nulla da eccepire, quindi, ed è normale che sia così. Però, alcune considerazioni, per così dire, di contesto,  sono talmente forti da poter condurre a conclusioni diverse. Bipolarismo ringhioso, lo chiama Amato: tra le cui caratteristiche prime vi è quella di una sistematica contestazione delle posizioni di garanzia. Importanti sempre, essenziali proprio in tempi di bipolarismo ringhioso. La contestazione si esercita a tutti i livelli â?? compresa la Consulta - e si basa sulla presunzione che il voto popolare tolga legittimità ad ogni altra espressione istituzionale.

Non è un buon motivo, certo, per farsi condizionare da una tesi quasi eversiva:  ma è un sufficiente motivo per non offrire pretesti ad aggressioni â?? dalle quali, come sappiamo, non è immune neppure il Capo dello Stato, massima autorità di garanzia,  -  motivati con la faziosità o la politicizzazione della Corte, o di alcuni suoi componenti. Non dimentichiamo che lo scontro allâ??arma bianca nella politica ha allargato il terreno del conflitto, che si sposta in dimensioni mai conosciute sul tavolo del Capo dello Stato, ed ancor più della Corte Costituzionale.

Tutte le principali leggi, quelle a cui la maggioranza è più â??attaccataâ?, per vari motivi, passano dallâ??esame delle aule parlamentari a quelle dei giudici costituzionali. Ed è veramente irrilevante che, in questâ??ultima sede, si ritrovino le persone che più di altre hanno orientato o guidato le rispettive forze politiche nel confronto parlamentare? Eâ?? opportuno che, in questo caso, uno dei parlamentari traslocati possa assumere, in una situazione  siffatta, la funzione di relatore? E se non lo è, non contiene questa valutazione anche una non opportunità allâ??assunzione della funzione stessa di giudice costituzionale?

Infine: quando lâ??Assemblea Costituente operava, venivamo da un periodo di anoressia della politica. Oggi, la politica è dilagata come unâ??alluvione, occupando tutti gli spazi, anche quelli che le sarebbero preclusi perché questo è lâ??interesse dei cittadini. Non è il momento di qualche segnale in senso contrario, di un inizio di ritiro, vale a dire, dai territori impropriamente occupati? Siamo alla vigilia di una serie di nomine o elezioni parlamentari destinate a comporre le più importanti autorità di garanzia: forse qualche segnale che testimoni di una volontà  di autolimitazione  della politica, potrebbe partire dalla prima occasione, quella di cui ci occupiamo.

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