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Articolo 21 - Editoriali
Strage di Ustica 30 anni dopo. Il mistero che passa attraverso la rotta Ambra 13.
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di Gianni Rossi

Per noi italiani il 13 porta fortuna, per gli anglosassoni invece “sfiga”. Per gli 81 passeggeri del volo Itavia del 27 giugno 1980 significò morte istantanea. Stavano sorvolando sulla rotta Ambra 13, vicino alla 14 e alla 17. La rotta riservata ai voli di linea. Ma quella sera il cielo sopra Ustica e il Sud del Tirreno siciliano era zeppo di aerei militari. Era in corso anche un’esercitazione alleata Synadex. Presidente del consiglio era Francesco Cossiga, quello che si era dimesso da ministro degli interni, subito dopo la disastrosa gestione antiterroristica per il rapimento e l’uccisione del leader DC Aldo Moro.

Erano in auge in quegli anni la loggia massonica segreta P2 di Licio Gelli (che insieme ad altri “confratelli” aveva partecipato al “comitato di crisi” creato da Cossiga al Viminale per seguire il rapimento Moro), un comitato di affari politico-finanziario legato agli ambienti della banca del Vaticano, lo IOR, e, soprattutto, era attivo un “contropotere” nel cuore dello Stato democratico, fatto di alti ufficiali e alti dirigenti delle forze armate, dell’ordine e dei servizi segreti.In quel “verminaio” accadde l’abbattimento del DC9 Itavia!

E quel Verminaio utilizzò le solite tecniche di “disinformazione” per depistare, coprire, sviare le indagini e tentare di gettare nell’oblio l’ennesima “Strage di stato”. Subito dopo, il 2 agosto,  avvenne la strage alla stazione centrale di Bologna, in cui morirono 85 persone e furono ferite oltre 200. Anche lì deviazioni e coperture fino ad oggi, per depistare, si disse, l’emozione e gli “occhi indiscreti” che si erano posati sulla tragedia di Ustica.

Trent’anni dopo, possiamo solo ricordare, che alcuni di noi, giovani cronisti esperti “dietrologi”, conoscitori del Verminaio e degli intrighi piduisti, avevamo già scritto tutto, senza l’aiuto di magistrati inquirenti né di intercettazioni né di dossier compiacenti. Alcuni di noi fecero il loro dovere di “mesterianti” d’inchieste: Andrea Purgatori sul Corriere, altri sul settimanale della stessa Rizzoli, Il Mondo, o sull’Espresso e Panorama.

Parlando con alcuni controllori di volo, operativi quella notte, dai loro ricordi in parte autocensurati e a volte da decifrare perché insospettiti dalle intercettazioni dei servizi segreti, venimmo a scoprire che quella sera era in corso un’attività bellica, in seguito alla scoperta che “il solito aereo libico” (sì proprio un abituale aereo militare libico, che i nostri caccia intercettori “scortavano” ogni volta amichevolmente lungo le rotte nazionali, per farlo arrivare sano e salvo nella ex-Jugoslavia!) stavolta stava portando il leader Gheddafi e, quindi, oltre ai “nostri” si erano allertati sia i jet americani della VI Flotta, sia i Mirage della Francia. Scopo dell’intercettazione aerea era di prendere l’aereo e farlo atterrare con Gheddafi prigioniero, oppure, farlo esplodere in volo con i razzi.

Ma più di qualcosa andò storto! Qualcuno si mise sulla scia del DC9 Itavia, o furbescamente l’aereo libico, oppure un jet militare alleato (Cossiga oggi ricorda con qualche decennio di ritardo che forse era dell’aviazione francese) fece una manovra che in pratica distolse la traiettoria del missile aria-aria, facendo colpire l’innocente e inconsapevole aereo di linea con gli 81 a bordo. Non vi erano dubbi nelle testimonianze dei controllori di volo, pochi per la verità, che riuscimmo a contattare: sono tutti morti, purtroppo, chi per strane disgrazie, chi per morte naturale. Ma allora nessuno degli inquirenti, magistrati civili e militari (i controllori di volo erano ancora un corpo militarizzato!), osò battere quella strada né alcune fonte dello Stato e del governo tentò di smontare le ricostruzioni giornalistiche di alcuni di noi.

Qualche politico della destra al governo, ancora oggi, anziché chiedere con decisione agli alleati la “desecretazione” degli atti, cerca di usare gli stessi argomenti depistatori del 1980. Gheddafi, ieri come oggi, è “un amico” dell’Italia!  E, quindi, va tutelata la sua immagine e la sua integrità, come quando i nostri servizi segreti militari lo avvertirono dell’imminente attacco americano. Era il 15 aprile del 1986, gli aerei inviati dal presidente USA, il repubblicano Ronald Reagan, attuarono un massiccio bombardamento sui luoghi dove si presumeva dimorasse il dittatore libico. Morì, invece, la figlia adottiva di Gheddafi, ma lasciò indenne il colonnello, che era stato avvertito del bombardamento proprio dal governo amico italiano, allora guidato da Bettino Craxi, notoriamente vicino sia ai libici che al mondo arabo.

Chi e che cosa trasportavano quegli aerei libici con e senza Gheddafi? Ed erano diretti solo nella ex-Jugoslavia? Perchè venivano scortati sempre dai MIG libici e poi dai nostri caccia intercettori? Da 30 anni si aspettano ancora risposte!

Oggi come allora dovremmo ancora credere alle cause del “cedimento strutturale” o della bomba a bordo, tanto cara ai depistatori degli anni Ottanta, e che portò alla condanna dei vertici dell’Itavia e alla distruzione di quella prima società aerea privata italiana?I n quei primi mesi, le ricostruzioni giornalistiche, oggi per fortuna accreditate anche dalla magistratura inquirente, furono sdegnosamente criticate come le solite congetture dei “dietrologi”, di coloro che vedevano stragi di Stato dovunque. Oggi, senza alzare il velo sulle menzogne di Stato da parte del governo e dell’opposizione, non si può ancora parlare di democrazia compiuta né di svolta storica col passato piduista e stragista di allora.

Chi allora indagò seconda coscienza, ancora oggi ne paga le conseguenze! Gli altri o i loro amici ed epigoni siedono negli stessi posti di potere, illudendosi che la polvere degli archivi e la cancellazione della memoria possano coprire le grida degli innocenti per ottenere la verità. I morti senza sepoltura, però, diventano come fantasmi, che vagano indisturbati per le stanze dei palazzi del potere turbando sonni e coscienze, fino a quando giustizia non verrà fatta. E solo allora anche gli 81 trucidati sul DC9 Itavia riposeranno in pace per sempre. Lungo la rotta Ambra 13 nel cielo stellato e caldo del SUD Tirreno. 

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