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Articolo 21 - Editoriali
Alla fine, se la colpa non è delle spie, è dei giornalisti
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di Ennio Remondino

Era da prevedere. La colpa è di Giuliana: la colpa è sempre dei giornalisti. E' che noi, in guerra, c'andiamo per provare emozioni forti. Hai voglia che il governo saggiamente insista, «non andate in Iraq che vi fate male». Noi avventurieri, Giuliana Sgrena fra gli altri, sempre a intignare con racconti disfattisti dal fronte. Come se non bastasse il resoconto del comando Usa. Non è che la colpa sia di chi le guerre le fa. La colpa è di chi è così impudente da raccontarle. Fra un po' scopriremo che all'ufficiale Sismi che guidava l'auto dell'agguato, anche lui ferito, toglieranno i punti dalla patente, mentre il nostro amico Nicola Calipari, si prenderà una nota di biasimo alla memoria per non aver compilato il modulo «24 bis», da inviare preventivamente e per approvazione al comando americano. L'indignazione di oggi, almeno, allevia il pianto. Dentro, per fortuna, ci restano le emozioni forti e contrastanti della liberazione di Giuliana e della morte di Nicola. I fatti che contano realmente. Quei sentimenti te li fai frullare dentro, una manciata di gioia e un grumo di dolore, mescoli il tutto nel cervello, e alla fine tiri fuori la tua sintesi personale fra due drammi e due persone diverse la cui sorte si è incredibilmente intrecciata. L'immagine che mi si è costruita dentro, alla fine, è quella del Milite ignoto, che diventa suo malgrado Monumento ad un valore che lui, da Milite ignoto, probabilmente non si sognava neppure di rappresentare. Credo di non togliere nulla a Giuliana, nel proporla come Milite ignoto, monumento per ora ammaccato del mestiere di giornalista. Alta classifica della qualità, ultime file nel teatrino mediatico taroccato quotidianamente nei salotti televisivi. Lo stesso credo si possa dire di Nicola Calipari, che me lo raccontano come l'amico «sbirro», uno che aveva scelto la riservatezza del fare rispetto al clamore dell'apparire, molto prima di entrare a far parte del mondo dei segreti. Militi ignoti di valori e mestieri tanto diversi fra di loro, ma interpretati da ognuno nel migliore dei modi.

L'altra riflessione che l'immagine precedente si trascina dietro, è quella della comprensione, intesa come conoscenza reale dei mondi che Giuliana e Nicola Calipari rappresentano. Facile ragionare soprattutto da sinistra, attorno alla figura umana e professionale di Giuliana, molto meno, farlo attorno a quella dello «spione» che l'ha liberata e protetta a costo della sua vita.

Stesso problema, immagino, abbiano i colleghi di Calipari, guardando lo strano mondo dell'informazione di cui Giuliana è protagonista. Giornalista e agente segreto, credo siano una efficace rappresentazione laica e moderna del diavolo e dell'acqua santa, dove ognuno dei due mondi vede l'inferno nell'immagine dell'altro. I giornalisti del divulgare, rispetto al mondo della segretezza. La ricerca del clamore e tinte forti, rispetto al dovere della riservatezza e al mondo del chiaro scuro. Ma è davvero così? E' questo il mondo giornalistico dei valori di Giuliana, e quello spionistico al servizio dello Stato che è stato per alcuni anni il mondo di Nicola Calipari? Credo di no. Imbecilli da una parte o dall'altra, le semplificazioni del giornalista-bugiardo e dell'agente segreto-deviato.

Il giornalismo di Giuliana e di tanti innamorati (spesso delusi) di questo mestiere, non è quello con cui ti confronti troppo spesso: quello urlato, quello pettegolo, quello inginocchiato e servile del giornalismo embedded, da anticamere e da tubo catodico. Quello che per andare a raccontare le guerre, chiede l'autorizzazione al governo - come ora sanziona, definitivamente, Silvio Berlusconi - e segue gli Alti Comandi. Il giornalismo onesto e di qualità, quello che si muove a tutto campo, che indaga sui «danni collaterali» della guerra - che è il mestiere di Giuliana - può essere a volte anche giornalismo di parte (come quello del Manifesto), ma non è mai militarizzato, giornalismo-clava da usare contro il «nemico» che un «padrone» ti assegna a sua convenienza.

Per quel poco che conosco di servizi segreti italiani, anche Nicola Calipari non si merita di finire imprigionato nello stereotipo del sospetto che ancora circonda il suo mestiere. Non c'è giornalista di Strada e di Lungo corso che non abbia nel suo taccuino almeno il nome di un militare, di un carabiniere, di un poliziotto, che sia poi finito «alla Presidenza del Consiglio». Il giorno della notizia gioiosa e luttuosa da Baghdad, ho inviato un sms di dolore e solidarietà ad un amico del Sismi, firmandomi col nome cha avevo scoperto mi aveva attribuito: un poco fantasioso «Rosso». Il grazie di risposta, mi è arrivato per la prima volta con un nome di battesimo e non di copertura.

Sismi o Sisde che sia, quelle donne e quegli uomini si porteranno dietro, nel nuovo mondo del segreto, quei valori o quelle debolezze che già erano loro. Nicola Calipari, se era lui quel giovanotto senza baffi, lo ricordo giovane vice-commissario alla mobile di Genova. Qualche vecchio amico genovese me lo descrive come scout, il che, oltre le barzellette alla Bernard Shaw, mi sembra gli si attagli perfettamente. Anche lui, come Giuliana che conosco molto superficialmente, non dava, per fortuna, l'idea dell'eroe.

Eroi (Nicola e Giuliana), lo sono diventati loro malgrado, nel nome dei molti «Militi ignoti» che nei due mestieri, la vita se la sono giocata e se la giocano per puro senso del dovere. La vita o semplicemente la carriera, rispetto alla sirena del compiacere. Tutti quelli che fanno da piedestallo a «Monumento». Eroi taciuti e nascosti di mestieri a mio avviso più denigrati di quanto meritino.
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