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Articolo 21 - Editoriali
Lettera all'illustrissimo signor Direttore Generale Mauro Masi
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di Ennio Remondino

Il peso delle medaglie e l'autorità del grado è concetto molto relativo. Dal Capoclasse  ruffiano dell'infanzia al Direttore generale servo dell'età adulta. Di solito, sia il ruffiano sia il servo, sono anche incapaci. Capita nella vita e accade nelle aziende. In Rai, mi appello alla memoria di quando c'ero, un secolo fa, accade un po' più della media. Sto parlando di Capoclasse ruffiani, ovviamente. L'attuale Dg Rai, Mauro Masi, ha incassato 1314 voti di sfiducia da parte dei suoi giornalisti.  Quasi l'en plein alla roulette dello “sgradimento”. Inarrivabile. Traduzione, “caro Masi vattene perché stai portando l'azienda allo sfascio definitivo”.
Due considerazioni preliminari prima di andare a vedere dentro i fatti. “Giudizio politico contro di me. Una medaglia per la mia direzione”, avrebbe dichiarato il Dg sfiduciato. Beh, dottor Masi, siamo seri. Se il voto liberamente espresso dai giornalisti Rai (tutti noti bolscevichi militanti), fosse davvero fotografia di uno schieramento “politico”, inteso come parte, quando mai Lei sarebbe stato nominato Dg della Rai? La sua bocciatura, insomma, nasce dalle viscere dell'azienda. Nel suo bene e nel suo male. Sulle medaglie, starei attento al numero. Siano pure medagliette, ma così tante che manco Stalin sulla piazza Rossa avrebbe potuto reggerle.
Ma l'argomento è un altro. Già l'ha sottolineato il segretario Usigrai Carlo Verna nella sua conferenza stampa. Referendum su Masi come apice di un gruppo dirigente. L'invito ad andarsene a casa, illustre dottor Masi, a suo conforto, non la lascia certo solo. A dire che le cronache delle faziosità giornalistiche e delle malversazioni con soldi aziendali di goderecci e sfacciati direttori ricadono su di Lei e su chi, con Lei, sapeva e nulla ha fatto per mettere freno a porcherie e sprechi. Ora Lei non venga a dire che non sapeva. Se mai fosse, attendo licenziamenti a ridosso dei suoi vertici apicali. Se non sapevi sei cretino, se sapevi sei complice.
Sprechi, porcate, clientele e gerarchie da esercito di “franceschiello”. I giornalisti Rai, col loro voto, hanno semplicemente detto che non ci stanno a fare “ammuina”. A far finta che. Noi sappiamo. Noi sappiamo di un Paese in crisi e di una azienda in difficoltà economiche anche perché strangolata dalla politica. Noi sappiamo che dovremo affrontare sacrifici. Noi sappiamo di essere stati a volte privilegiati. Noi impareremo a sacrificarci, se sarà necessario. Ma noi sappiamo che prima dei sacrifici imposti ai lavoratori Rai, devono essere tagliate unghie e teste a ladri e incapaci. Ripasso giuridico sui reati di complicità o di omesso controllo.
Gentilissimo Signor Direttore Generale, nell'attesa delle sue spero prossime dimissioni, una confessione. Nel capoverso precedente sono stato bugiardo, ma per sbadataggine. “Noi Rai”, ho ripetuto, a ben due settimane dal pensionamento. O forse No, non ho sbagliato. “Noi Rai” siamo un corpo multiforme ed esteso. “Noi Rai” siamo la gente che ci lavora e ci ha lavorato. Che ama e che ha dato all'azienda. “Noi Rai” siamo dentro e fuori. Lei, illustre Direttore Generale, è formalmente dentro ma con la Rai non c'entra proprio nulla. Giuro. Ieri a Roma ho pranzato con Demetrio Volcic e ci siamo sentiti con Albino Longhi. Noi Rai. Lei, No. Grazie.

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