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Articolo 21 - Editoriali
Le mani sulla (cine) città
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di Antonio Valenzi

Un autunno caldo questo del 2010 che sul fronte dello spettacolo è diventato addirittura incandescente tra l’occupazione della Casa del Cinema e del tappeto rosso del Festival di Roma, e che continuerà con lo sciopero generale dei lavoratori del settore indetto per lunedì 22 novembre dalle sigle di Cgil, Cisl e Uil di Roma e del Lazio. A far salire la temperatura poi è arrivato anche, dai vertici di Cinecittà Studios (società privata il cui 80% fa capo all’Italian Entertainment Group presieduta dal banchiere BNP Luigi Abete, separata da Cinecittà Holding), l’annuncio che entro la fine dell’anno sarà pronto il progetto di rilancio degli studi sulla Tuscolana, un progetto che  ha attirato gli strali non soltanto dei sindacati, non coinvolti nella stesura, ma anche della Confartigianato che con Enzo De Camillis rappresenta le imprese artigiane dello spettacolo. Insomma, lavoratori autonomi e dipendenti sembrerebbero convinti che, dietro quel piano da 240 mila metri cubi (comprensivo di albergo con centro benessere e palestra, servizi di ristorazione multietnica e parcheggio sotterraneo a due piani), si celi in realtà una speculazione immobiliare che col cinema c’entra poco e che finirà per impoverire tutti. Per converso, i vertici di Cinecittà Studios -nel cui consiglio di amministrazione siedono anche Diego Della Valle e Aurelio De Laurentiis-  sostengono, invece, che si tratti di un progetto teso alla valorizzazione degli impianti visto che si dovrebbero ricavare gli spazi per ospitare 150/200 nuove imprese dell’audiovisivo. Chi ha ragione?
Certo è che le intenzioni di sviluppo futuro mal si coniugano con una politica presente che ha visto fuoriuscire dagli studi aziende storiche come De Angelis -presente dal 1942- alle quali è stato comunicato che, dal 2011, non sarebbero stati rinnovati i contratti di locazione, o con la situazione dei bilanci 2009 che ha visto un valore della produzione calato del 40% rispetto al 2008. Perché dal 1997, anno di avvio della privatizzazione di Cinecittà, non solo si è andato via via riducendo il numero delle lavorazioni, ma contestualmente c’è stata anche una levitazione dei costi intorno al 35% che ha scoraggiato molti produttori a servirsi degli studi sulla Tuscolana (e dai ‘rumors’ sembrerebbe che anche il talent show di Mediaset “Amici” sia prossimo a migrare negli stabilimenti Titanus, ex Helios, sulla Tiburtina). Del resto, in diverse occasioni recenti Riccardo Tozzi, presidente dell’associazione produttori dell’Anica (nonché cognato di Alessandro Battisti che di Cinecittà Holding è stato presidente nell’era Rutelli), ha ribadito la necessità di tornare a lavorare negli studi, quasi lasciando intendere che Cinecittà necessitasse di riaprirsi al mercato, benché nel frattempo lo stesso direttore di Cinecittà Studios, Lamberto Mancini (braccio destro di Luigi Abete), sia diventato segretario generale dell’Anica stessa, l’associazione che raccoglie le imprese del settore cinematografico, audiovisivo e multimediale nonché presidente della neonata Confindustria Cultura. 
In altre parole, i timori di artigiani e maestranze qualche fondamento ce l’hanno, perché è innegabile che dalla sua fondazione ad oggi Cinecittà Studios Spa più che a implementare il lavoro interno abbia rivolto la propria attenzione ad interventi esterni, come il parco a tema Cinecittà World (definito strategico per il rilancio di Studios) che dovrebbe sorgere a Castel Romano negli ex studi di Dino De Laurentiis. Un investimento da 500 milioni di Euro che andrebbe a sorgere tra l’altro in contemporanea con il Rainbow Magic Land di Valmontone (a 50 km da Roma) la cui apertura è prevista per aprile 2011 e che si pone come uno dei parchi più grandi d’Europa. Si fa conto probabilmente sull’innegabile vocazione godereccia dei cittadini di Roma e del Lazio, che lasciate alle spalle le usanze ruspanti di panini con la porchetta e vino dei Castelli, sono alla ricerca di divagazioni più sofisticate. Per un parco che apre però, ce n’è un altro che ha chiuso mandando a spasso i 1.200 operatori che vi lavoravano. Si tratta del parco divertimenti Luneur passato alle competenze dell’Eur Spa (il cui amministratore delegato si chiama Riccardo Mancini. Semplice omonimia con il Lamberto cinemanager?) la quale, dopo una gara d’appalto, ha aggiudicato la gestione e il rilancio del parco alla Cinecittà Entertainment, partecipata al 49% da Cinecittà Studios, con un investimento da 30 milioni di Euro. A distanza di due anni la situazione ancora non si sblocca per una struttura che, sfortuna vuole, si trovi proprio in quella via delle Tre Fontane, dove c’è un’area finita nelle mire delle iniziative immobiliari satellitari al Gran Premio di Roma.
Né le cose vanno meglio in Umbria, dove Cinecittà Studios ha rilevato gli studi di Papigno (vicino Terni) dalla società Spitfire, costituita dai coniugi Benigni con Mario Cotone in occasione delle produzioni de La vita è bella e Pinocchio con l’obiettivo di realizzare un polo dell’audiovisivo. Pinocchio non fu il successo commerciale sperato e i Benigni, che ci avevano messo 7 milioni di Euro, cedono il 60% delle quote Melampo a Cinecittà in cambio di cinque milioni. Contestualmente si avvia un accordo col Comune per realizzare un parco a tema su Pinocchio che però resta un’opera incompiuta, pagando agli umbri una locazione ‘a perdere’, le scenografie di Danilo Donati a prendere polvere e un’interrogazione del consigliere comunale Sandro Piccinini dell’8 ottobre scorso a chiedere quali saranno le sorti degli studi.  E tutto questo avviene mentre si fanno investimenti in Marocco. Più precisamente a Ouarzazate, a ridosso del Sahara, dove Cinecittà Studios gestisce i Cla Studios in un progetto avviato nell’ormai lontano 2004 insieme alla Regione Lazio che nel 2009, periodo Marrazzo, ribadì l’impegno con la Fondazione Rossellini per l’Audiovisivo presieduta da Francesco Gesualdi. E qui si arriva a un collo di bottiglia perché mentre le sigle sindacali si rivolgono alla Regione Lazio per tutelare i posti di lavoro degli studi romani, la location africana fa sorgere da sud lo spettro della delocalizzazione visto che tra le altre cose è stata istituita una scuola per i mestieri del cinema di stanza a Casablanca dove i docenti provengono proprio dalle nostre maestranze. Del resto le politiche di sostegno alle produzioni cinematografiche fanno oggi del Marocco –che beneficia di fondi europei dalle politiche transfrontaliere dell’Unione- la meta ideale di produttori in cerca di costi contenuti (manodopera al 50%), ma l’assessore regionale Zezza se la sentirà di interrompere quel che è sembrato l’inizio di una splendida amicizia? Resta inoltre sottinteso per gli addetti ai lavori che il discorso sulla delocalizzazione è valido finché si parla di film in costume e per quelli che necessitano di molte comparse, ma non per gli altri. E quand’anche fosse, c’è pur sempre un presidente Luigi Abete, Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, che almeno fin qui non sembra aver assolto in pieno quel Progetto Interesse Nazionale promosso dall’Aspen Institute di cui è membro del comitato esecutivo.
Insomma, almeno fin qui la privatizzazione sembra essere andata nella direzione diametralmente opposta rispetto a quei criteri di efficacia ed efficienza che ogni privatizzazione evoca nell’immaginario collettivo, aprendo la strada all’idea che l’alternativa allo Stato che funziona male sia semplicemente lo Stato che funziona bene.

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