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Articolo 21 - Editoriali
L'eccidio delle Fosse Ardeatine. Come andò veramente
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di Vecchio Giornalista

Mi ha scritto un lettore qualche giorno fa. Fra poco - scrive Ruggero Andreani - ricorrerà lâ??anniversario dellâ??eccidio delle Fosse Ardeatine e col governo che abbiamo  sicuramente si ripeteranno le solite accuse sulla responsabilità dei partigiani di via Rasella. Che cosa ci sa dire il Vecchio Giornalista, che sicuramente ha vissuto da vicino anche quel terribile episodio?

Caro Ruggero. Lâ??attentato di via Rasella è del 23 marzo 1944, giovedì, alle 15.51. Alle 17 cominciava a Roma il coprifuoco, che dal 28 gennaio era stato anticipato di due ore, perché â?? diceva un comunicato tedesco diramato in quel giorno dallâ??agenzia Stefani â?? â??elementi irresponsabili al soldo del nemico hanno effettuato due attentati contro alloggiamenti ed automezzi delle forze armate germanicheâ?.

Il giorno dopo, venerdì 24, il â??Messaggeroâ?, che, come gli altri quotidiani, usciva intorno a mezzogiorno (il coprifuoco terminava alle 6 e il lavoro, dovunque, poteva quindi cominciare soltanto dopo quellâ??ora), non scrisse neppure una riga sullâ??attentato, nonostante che fosse avvenuto proprio sotto le sue finestre; e non ne parlarono neppure gli altri quotidiani romani. Di certi episodi i giornali potevano dare notizia  soltanto con la pubblicazione dei comunicati ufficiali trasmessi dalla Stefani, che era lâ??agenzia del governo fascista di Salò, e quindi, allora, sotto controllo tedesco. E la Stefani non pubblicò niente, né giovedì né venerdì. Dellâ??attentato si resero conto, drammaticamente, soltanto gli abitanti di via Rasella e delle strade vicine: lâ??esplosione, i morti, le ambulanze, lâ??intervento della gendarmeria militare tedesca, la perquisizione delle case, gli arresti. Nel resto della città corsero voci; niente di più.

Il primo e unico comunicato, emesso dal Comando tedesco della città di Roma, fu pubblicato dalla Stefani e trasmesso ai giornali (che a quellâ??ora erano chiusi, cioè senza personale) alle 22.55 del venerdì; in pieno coprifuoco, quindi. La mattina seguente, sabato 25, il â??Messaggeroâ? lo pubblicò in neretto, su due colonne, a destra in prima pagina, senza titolo. Il comunicato diceva: â??Nel pomeriggio del 23 marzo 1944 elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio di bomba contro una colonna tedesca di polizia in transito per via Rasella. In seguito a questa imboscata 32 uomini della polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti. La vile imboscata fu eseguita da comunisti badogliani. Il Comando tedesco è deciso a stroncare lâ??attività di questi banditi scellerati. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata. Il Comando tedesco, perciò, ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci criminali comunisti badogliani saranno fucilati. Quellâ??ordine è già stato eseguitoâ?.

Lâ??ultima frase del comunicato rende falsa ogni polemica sullâ??opportunità, sollevata spesso da sospette fonti di parte, che i partigiani responsabili dellâ??attentato dovessero costituirsi; o dovessero anzi obbedire â?? come ha scritto qualcuno, ancora più sospetto - allâ??ingiunzione di costituirsi. Da parte tedesca non ci fu nessun invito agli attentatori perché si costituissero e non ci fu nessun preannuncio della rappresaglia che era stata decisa. Lâ??unica informazione fu data dopo lâ??esecuzione della strage. I tedeschi volevano fare una strage, e la fecero.

Questi sono i fatti, che rendono perfino superflue le molte sentenze che la Magistratura ha emesso sullâ??attentato di via Rasella (lâ??ultima, dalla Cassazione, il 24 febbraio 1999): che lâ??attentato fu unâ??azione di guerra e che come tale non poteva considerarsi reato.

A quelli che nel prossimo marzo parleranno dellâ??attentato di via Rasella e della strage delle Fosse Ardeatine per ripetere le solite storie sulle responsabilità partigiane ricordiamo allora che in quegli anni tremendi câ??era una guerra; una guerra di liberazione e, purtroppo, anche una guerra civile; e che la guerra civile vedeva da una parte chi voleva libertà e democrazia e dallâ??altra chi era schierato con la dittatura, con gli assassini delle brigate nere, con i deportatori degli ebrei.

A costoro câ??è unâ??altra cosa da dire: che la rappresaglia â??uno a dieciâ? fu praticata dai fascisti repubblichini a Firenze prima che dai tedeschi a Roma. Fu il 1° dicembre dellâ??anno precedente, dopo lâ??attentato riuscito al comandante del distretto militare, il tenente colonnello Gino Gobbi, che si era distinto per il reclutamento forzato di giovani nelle formazioni fasciste. Il comunicato trasmesso in quello stesso giorno dallâ??agenzia Stefani diceva: â??Il tribunale straordinario si è riunito nella notte e ha emesso sentenza di morte per dieci italiani traditori pagati con oro nemicoâ?. Dieci antifascisti da fucilare per un fascista ammazzato.

Il resto della storia è poco nota e merita di essere raccontata. Il 2 dicembre i fucilati a Firenze furono soltanto cinque; cinque anarchici e comunisti di vecchia data, reduci dalla guerra di Spagna e dai campi di concentramento francesi. Al maggiore Mario Carità, che era il ras del fascismo repubblichino fiorentino, la Questura, riluttante, dette infatti soltanto quei cinque nomi. Gli altri cinque Carità li cercò allora fra i membri del Comitato toscano di liberazione che erano stati arrestati qualche giorno prima. Erano in mano tedesca e i tedeschi si rifiutarono di consegnarli; gli interrogatori non erano ancora finiti. Due di quei cinque erano Alberto Barile, che sarebbe poi diventato uno dei migliori costituzionalisti italiani, e Adone Zoli, poi senatore della Democrazia Cristiana, più volte ministro, presidente del consiglio nel 1957-58.

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