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Articolo 21 - Editoriali
Berti e Masotti. Fallimentari ma inamovibili
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di Stefano Munafò

Povero zio Berti. La sua missione è svanita nell'etere e lui non se ne è accorto.

A causa di un inaspettato esordio in Tv e soprattutto della sua autorevole e originale investitura, quasi tutti i giornali lo avevano dipinto come il nuovo portatore del Verbo. Sugli schermi amici di Rai Uno, in fascia protetta e in vista delle elezioni. Pronto ad affrontare le grandi questioni dell'attualità. Il suo Batti e ribatti, invece, è solo diventato un momento di transito televisivo. Un intervallo o una pausa fisiologica dello spettatore, dopo la minestra consueta del Tg e in attesa dell'Uomo dei Pacchi.

Non che la sua striscia sia un totale disastro o un flop alla Masotti. Ma temo che di quegli scarsi minuti allo spettatore resti solo il tenue ricordo di un omino mite dal vago buon senso. Nulla è realmente messo a fuoco, tra domande e risposte. Batti e ribatti racimola una media attorno al 24%, meno di Pigi Battista e all'incirca in linea con quella di Enzo Biagi. Solo che ai tempi di Biagi in Rai non esisteva in quella fascia il fenomeno di Paolo Bonolis. Oggi, invece, Batti e ribatti è stretto tra due locomotive formidabili, una che viene prima (quella del Tg) e l'altra dopo (Affari tuoi), quasi sempre oscillanti ambedue sopra il 30%. Ma in appena cinque minuti, l'effetto traino si assottiglia drammaticamente e quando Berti passa il testimone a Bonolis, il suo lascito di ascolto si aggira quasi sempre sotto il 20%. Se per avventura la striscia di Berti durasse il doppio, il suo pubblico potrebbe scomparire.

Una trasmissione giornalistica a striscia, e di cosâ?? breve durata, può avere solo due elementi di forza: i temi trattati e il carisma del conduttore. Lo so che i paragoni sono sempre opinabili e a volte di pessimo gusto, ma a mio parere, Biagi è stato sinora il solo (con Giuliano Ferrara) a godere di ambedue quei requisiti. Il Batti e ribatti di Pigi Battista (scontata una certa timidezza e l'assenza di fascino televisivo del conduttore) è stato comunque ineccepibile per la puntualità dei temi trattati. Il Batti e ribatti di Berti lascia quantomeno a desiderare, sia per i temi che per la conduzione e il carisma.

Nella settimana che precede questa, Berti si è barcamenato tra le imprese di Unabomber (per le quali, confondendo tra fiction e realtà, aveva avuto la malaccorta pensata di portare in studio il protagonista dei R.I.S.,  la fiction di Mediaset, che si è intelligentemente sfilato); i discorsi sullo smog e il cancro; la delinquenza minorile; l'auspicato ritorno in patria dei Savoia morti dopo quelli vivi; la validità dei sondaggi pre-elettorali... Il tutto condito con le consuete citazioni finali da Baci Perugina: si svolazza da Petronio e Shakespeare, fino a Montanelli e Bismarck.

Eppure lo stesso periodo di tempo sui giornali era stato dominato dalle esternazioni del Cav a Porta a porta, dalle vicende di Alessandra Mussolini e di Storace, dai discorsi di Ciampi a Londra sulle funzioni del Parlamento, dalle discussioni in sede europea dei conti dell'Italia... Ma sembra che Berti sia più affezionato alle briciole della cronaca e tema in qualche modo la grande politica.

Se è vero che Berti era stato spedito in Tv per questo, la sua presenza a Rai Uno, come quella di Masotti a Rai Due, può essere serenamente ritenuta un fallimento. Con una precisazione. Questo risultato negativo accomuna due tentativi televisivi assai diversi. L'uno (quello di Berti) che usa con modestia il linguaggio apparentemente neutro del buon senso. L'altro (quello di Masotti) che sceglie con baldanza punti di vista scopertamente e costantemente faziosi, corredandoli con una narrativa giornalistica talmente rozza da scadere nella propaganda. Berti resta in conclusione lontano mille miglia da Biagi, e Masotti da Santoro. La famigerata "sentenza bulgara" ha potuto eliminare due personaggi della Tv, ma non è stata in grado di sostituirli. Eppure oggi in Rai, nonostante risultati così anonimi o negativi, i titolari di Batti e ribatti e di Punto e a capo restano inamovibili. Anche se Masotti in particolare sta contribuendo con le sue medie mediocri a sprofondare una rete nazionale come Rai Due nella crisi più grave della sua storia.

L'informazione autorevole della Rai del centro-destra (fuori dai Tg) continua dunque ad annoverare un solo personaggio. Si chiama Bruno Vespa ed è nato con la Prima Repubblica. Tempo fa, su .Com mi ero sbizzarrito ad elencare una teoria di nomi di giornalisti e di opinionisti di rilievo del centro-destra o dell'area liberale. Da Buttafuoco ad Accame, da Belpietro a Feltri, da Galli della Loggia a Panebianco, al solito Ferrara. E poi ancora, da Sergio Romano a Massimo Teodori, a Pietro Calabrese, a Ferruccio De Bortoli... (la lista potrebbe essere ovviamente più lunga). E mi chiedevo: è possibile che questa Rai del Cav non riesca a coinvolgere organicamente nessuno di questi personaggi nelle sue rubriche? Il ricorso ad uno di questi nomi sarebbe pur sempre una scelta "amichevole" (o pregiudizialmente non ostile) nei confronti del centro-destra, così come quella di Biagi lo fu per il centro-sinistra. Ma di tenore squisitamente professionale.

Eppure la Rai potrebbe volare ancora più in alto. Nè si pensi che la proposta che mi accingo a fare in conclusione, sia frutto di ingenuità (o, all'opposto, di provocazione). Essa infatti serve comunque a rimarcare con i lettori le differenze tra la Rai che è e quella che potrebbe.. essere. In nome del sempre citato (e sempre negletto) pluralismo, Batti e ribatti in particolare potrebbe essere trasformato in un appuntamento dove a turno (per un mese ciascuno, o meglio una settimana) ruotano i più grandi opinionisti e direttori della stampa italiana. Di tutte le aree culturali, da quelle della destra, a quelle della sinistra, a quelle indipendenti. Un contro-altare formidabile per il burocratismo dei Tg. In fin dei conti, si tratta di un esperimento del tutto riuscito su Radio Rai...

Basterebbe una variazione del genere per realizzare in una fascia di grandi ascolti (e in modo concreto,  senza troppe chiacchiere su missioni astratte, quanto disattese, del servizio pubblico) un terzo almeno della riforma editoriale di cui la Rai ha bisogno. Ma questa Rai ne è capace?

La risposta a questo ultimo quesito riguarda certamente il sistema politico (passato e presente) e in particolare il Cav, che oggi, più di altri e molto di più che in passato, concepisce i giornalisti della Tv come puri megafoni o rispettosi portavoce. Ma il quesito riguarda anche i gradi di autonomia professionale della Rai, nonostante il sistema politico. Non è infatti vero che non si possa trovare un equilibrio più alto tra condizionamenti politici e autonomie professionali.

Anche in presenza del Cav si può stare genuflessi o a schiena dritta.
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