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Articolo 21 - Editoriali
Il pensiero liberamente manifestato cerca ascolto
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di Vincenzo Vita

Uno strano silenzio al di fuori di Palazzo Madama, quello di ieri,  in un giorno così particolare per le votazioni che proseguivano in aula sulla Riforma Gelmini. Gli studenti, attori principali cui la riforma è maldestramente indirizzata, hanno preferito donare fiori ai poliziotti e passeggiare sull'asfalto della tangenziale di Roma in un pomeriggio uggioso.
Nativi digitali, ragazzi che utilizzano il pc come diario personale, manifestando i propri disagi agli amici di Facebook. Ragazzi che urlano la loro voglia di essere ascoltati, che hanno ben interpretato il testo della riforma e intuito che i ministri Tremonti e Gelmini mettono le basi per un'ottima "scuola di taglio e cucito". Anzi, solo di taglio.
Ricercatori costretti a salire sui tetti di Roma, ad affrontare le freddi notti invernali. Cervelli che scappano dall'Italia per ritrovarsi a dover realizzare le loro aspirazioni in paesi dove i fondi alla ricerca non vengono tagliati bensì incrementati, dove i laboratori sono provvisti di tecnologie all'avanguardia e gli studiosi non sono costretti ad utilizzare i pentolini di inizio Novecento.
Un malessere continuo e crescente  cui la Costituzione della Repubblica italiana fornisce la possibilità di dare voce. "Articolo 21: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione."
Il pensiero liberamente manifestato cerca ascolto. E l'ascolto non c'è stato. Con la straordinaria eccezione del Presidente della Repubblica. Anzi, qualcuno della maggioranza ha risposto utilizzando termini quali "arresti preventivi".  Ma al clima di violenza e di rabbia è seguito un modo di scioperare che rappresenta una svolta positiva dopo i fatti del 14 dicembre. Si manifesta con "pacchi natalizi", con fiori e slogan che si allontanano dall'azione dei black block.
Così, oggi, mentre lasciano "solitudine nella zona rossa" e sono "liberi nella città",  mentre l'opposizione continuava un'aspra battaglia utilizzando tutti gli strumenti del regolamento nell'aula del Senato,  gli studenti erano -appunto- convocati direttamente  dal capo dello Stato, che si è detto pronto ad esaminare le proposte degli studenti, che l'opposizione ha ampiamente condiviso e trasformato in centinaia e centinaia di emendamenti. Emendamenti respinti, senza pietà, persino laddove vi era un evidente errore normativo, con la modifica di un comma  della vecchia legge Moratti, abrogato in un altro articolo. Da blob la performance, vista e stravista in rete, della vicepresidente leghista Mauro.
In aula le opposizioni hanno provato in tutti i modi ad ostacolare il muro alto posto dalla maggioranza e dal governo che ha blindato il testo del disegno di legge. Ora, purtroppo, il testo è passato.  Tuttavia, si tratta di una battaglia che non si conclude in Parlamento. Può passare un testo, ma non il suo spirito. Decrepito,come ha sottolineato la presidente Anna Finocchiaro.
 Prima o poi sarà la società a pretendere la modifica di una legge brutta e impossibile: orrenda nel merito, perché porta a dividere l'università in due mondi -quello privilegiato e quello di massa-; impraticabile, perché dispone la bellezza di 173 norme che con decreti e regolamenti arrivano a 500. Senza risorse, tagliate, com'è noto, da Tremonti. Barocco di plastica.
Ma noi non ci arrendiamo.
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