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Articolo 21 - Editoriali
Si preparano alle urne con valanghe di fango
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di Federico Orlando (lettere a Europa)

    Caro direttore, mentre noi a centrosinistra ci dilaniamo sulle primarie,, se a Tortino dobbiamo candidare sindaco Fassino o un vendoliano, se dobbiamo difendere le prospettive del lavoro o la conservazione di vecchi diritti senza più lavoro, se dobbiamo credere a Di Pietro o a De Magistris, se dobbiamo restare laici o diventare clericali, se dobbiamo concentrarci nella lotta per la nuova maggioranza o costringere ancora una volta gli italiani votare per il “meno peggio” (come molti elettori giudicano Berlusconi e Prodi ci ricorda nei suoi articoli), il premier scatena sicari contro Fini, e prima contro altri, compresi i cattolici offerti in sacrificio dai preti al Moloch pagatore. Più Bossi incalza che non si può andare avanti con una feccia parlamentare raccogliticcia e che bisogna tornare alle urne, più il capobanda aziona la macchina del fango e dice che a lui “è stato fato di peggio”. Era questa la democrazia che volevamo dopo Tangentopoli, nella seconda repubblica? Filiberto Genua, Torino

    RISPONDE FEDERICO ORLANDO
Caro Genua, le premetto che non ho mai creduto a una ”seconda” repubblica italiana. L'abitudine francese di numerare le repubbliche dopo avere per dieci secoli numerato i re, scandisce altrettanti avvenimenti storici, che spiegano il cambiamento della numerazione, cioè delle costituzioni: ultimo, la guerra  d'Algeria e l'avvento nel 1958 di De Gaulle, fondatore della quinta repubblica. In precedenza, la tragedia della disfatta militare del 1940 e cinque anni di resistenza ai nazisti, avevano generato la quarta repubblica, che prendeva il posto della terza, ottocentesca, nata dalla disfatta che Napoleone III aveva subìto a Sedan nel 1870 dopo aver regalato, insieme a Cavour, l'Italia agli italiani. Noi non possiamo scimmiottare una nazione come la Francia, sostituendo a questi grandi e tragici fatti della storia le ladronerie di mariuoli e impostori.

Ciò chiarito, le dico che non sono sorpreso dallo sciacallaggio di certi giornali, dall'uso omicida (politicamente e speriamo solo politicamente)  dei media contro l'avversario politico. Ripeto a lei quel che ho detto martedì sera in una lunga intervista a Rai News, che mi domandava se fosse stata la politica a far degenerare il giornalismo o viceversa. Ho risposto che politica e giornalismo, nelle grandi democrazie occidentali, stanno parallele, su posizioni diverse e talvolta contrapposte: l'una governa il paese, l'altro controlla come si governa. Solo quando la funzione critica della stampa aiuta a perfezionare l'opera degli altri poteri, si può parlare di una democrazia funzionante (Jefferson, 1799: “L'America sarà quel che saranno i suoi liberi giornali”).

Naturalmente, la funzione complementare politica-giornalismo è sempre uscita in qualche misura dagli argini. Mai, però, si erano visti sicari e killeraggi come oggi, e per me la causa sta nella riunione nelle mani di uno solo del potere politico e del potere comunicativo. Quando Montanelli ed io fummo cacciati dal giornale fondato da Montanelli vent'anni prima, l'accusa fu che nelle nostre polemiche con  la sinistra usavamo il fioretto e non lo spadone. Giudichi lei i guasti al costume  civile che possono arrecare giornalisti e gestori di media usando lo spadone di Attila, la scimitarra  degli emiri, il machete dei bungabunga, e  insegnando ai sudditi che chi non sta con noi è “nemico” e il nemico va ucciso, perché in guerra si fa così.

Quanto all'Ordine e al sindacato dei giornalisti, fanno quel che possono: l'Ordine ci impone (e chi ha educazione civile e professionale accetta la regola) di verificare le fonti della notizia  ricevuta e di non pubblicare senza la certezza delle prove. Non ci consente di dire, come è stato detto in questi giorni perfino al pm: avevo avuto una notizia, non sapevo se crederci o no, non l'ho portata ai magistrati per non trovarmela pubblicata il giorno dopo su altri giornali. Così, in un colpo solo, si mettono sotto il fuoco due presunti nemici del padrone: la terza carica dello stato e la magistratura. Questo durerà fino a quando, complice anche la sinistra, esisterà il conflitto d'interesse, consentendo che politica e informazione stiano nelle stesse mani.     

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