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Articolo 21 - Editoriali
Senza cultura e informazione non c'è futuro
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di Vincenzo Vita*

‘Nessun dorma’, come evoca la notissima romanza della ‘Turandot’. Se non ci si sveglia,  già nelle prossime ore quella - come tante altre opere- cesseranno di essere rappresentate nei teatri lirici italiani. Come si bloccherà lo straordinario risveglio  del cinema italiano. E come chiuderanno i battenti circa cento testate editoriali, con quattromila persone a rischio di disoccupazione. E attraverserà il mondo dei seicentomila lavoratrici e lavoratori della conoscenza il terremoto dei tagli e dei bavagli. Sono solo alcuni degli ‘effetti collaterali’ del cosiddetto ‘milleproroghe’, il decreto che entro la fine del mese di febbraio verrà convertito (con il voto di fiducia?), rimaneggiando centinaia di buchi fatti dal governo, che hanno bisogno di toppe e rammendi. Di tutto un po’, ma non saperi, ricerca, scuola, università, spettacolo, beni culturali e informazione. No. Quelli sono considerati territori non controllabili dal partito-azienda-televisivo, che ha bisogno di una società meno critica, non indipendente, meno colta, ignorante. Territori infedeli, sovversivi: naturaliter. Infatti, sugli emendamenti numerosi –in qualche caso, come sul rimpinguamento del fondo per l’editoria, bipartisan- in merito alle materie della conoscenza e della riproduzione sociale è calato un silenzio tombale. Si rinvia continuamente l’esame dei singoli punti nelle riunioni delle Commissioni affari costituzionali  e bilancio del Senato, che sembrano un’orchestra perennamente impegnata (con ritmi assai lenti) nelle prove generali. La ‘prima’ non si se e quando arriverà, magari sotto specie di ‘maxiemendamento’, come impera nell’era giuridica berlusconiana. Il Parlamento non è più nemmeno considerato luogo di ratifica, bensì riempitivo spazio-temporale in attesa che il governo (chi, Tremonti? Visto che Bondi dileguossi…) decida qualcosa. E nel frattempo assistiamo alla morte in diretta della cultura italiana. Lasciamo perdere, poi, ciò che si dice di noi all’estero, dove ricordano i grandi protagonisti del cinema e dell’audovisivo, Cinecittà ( a proposito, è in atto una colossale operazione speculativa?), l’Opera che ha diffuso la lingua italiana in paesi lontani, il teatro e dove si apprezzano i giovani artisti misconosciuti in un paese ‘occupato’ anche nell’immaginario collettivo. Si rischia la desertificazione, come ha ricordato Bersani nelle conclusioni dell’assemblea nazionale del partito democratico sabato scorso. Si rischia la marginalità nel villaggio globale.
Per non dire dei precariati perenni, dell’assenza di certezze nelle e delle figure professionali, della crisi delle tutele, dei crolli di Pompei, della delocalizzazione delle produzioni, per fare il verso a Marchionne.
E’ un dramma, non un melodramma, come si era abituati in altre, pur discutibilissimi ma diverse, fasi della vita della Repubblica. Non si ‘aggiusta’. O si rialza la schiena, come è stato fatto dal vasto movimento di queste settimane composto da organizzazioni sindacali e dall’universo associativo, o si perisce. Sul serio.
Il Presidente del Senato Schifani svolse recentemente un impegnato intervento all’apertura del congresso della Federazione della stampa.
Sì, Presidente, sono in pericolo libertà fondamentali, perché senza informazione e saperi anche l’esercizio degli altri diritti è impossibile. E, dunque, sia così cortese di battere un colpo. 

*da L'Unità

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