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Articolo 21 - Editoriali
Perché dobbiamo essere in piazza con le Donne
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di Domenico Petrolo

In questi giorni che si avvicina la manifestazione di domenica, ho sentito  pochissimi uomini parlarne, affermare con convinzione il loro desiderio di  parteciparne. Un silenzio quasi assordante, come se la vicenda non  riguardasse anche noi. Eppure non c‘è niente di più sbagliato.  Nei decenni che sono trascorsi le donne hanno iniziato a combattere delle  splendide battaglie per ribadire i propri diritti, ottenendo faticosamente   grandi conquiste che ci sembrano scontate, ma che sono ben lontano  dall’esserlo.  Oggi  continuano nella loro lotta , giorno dopo giorno, dalle periferie più  sperdute del nostro Paese, dove bisogna “ammiccare” al capo di turno,  alle  nostre più alte istituzioni, come la Camera dei Deputati, che considerava  fino a poche settimane fa  la maternità come “una malattia”. Dare al mondo dei figli, contribuire alla rigenerazione del genere umano è  considerato “una malattia”, niente di più assurdo. Forse perché colei che  genera è una donna e non un uomo.  Vanno avanti con una splendida tenacia giorno dopo giorno, perché ci vuole  caparbietà e tempo. Perché non è facile cambiare un mondo che per millenni è  stato governato, tranne rarissime eccezioni, da noi uomini.  Eppure la rappresentazione di queste settimane non fa che riportare indietro  le lancette dell’orologio. Una rappresentazione in cui il merito e  soprattutto il diritto viene sostituito dalle “conoscenze”, intese come  rapporti clientelari-preferenziali-sessuali, e dal concetto di “vendita”,  inteso come “mettere a profitto” il più possibile la propria posizione, al di  là di ogni principio di coerenza o di etica. Viene sdoganato oltre ogni  pudore il concetto di vendita del proprio corpo. Con il contributo di  genitori, fratelli e fidanzati che incitano a monetizzare il più possibile  l’occasione che si presenta.   Ma rappresentare questo come unico modello vincente e gratificante, non è  forse  limitare la libertà delle donne? Privarle del loro diritto di  scegliere?  E il nostro silenzio non è complice?  Per questo penso che la posta in gioco sia più grande di quello che può  sembrare. Non è semplicemente uno scontro tra una visione “edonistica e  leggera” della vita ed un gruppo di donne “impegnate e arrabbiate”. E’ una  contrapposizione fra due visioni del ruolo della donna e quindi della  società. Una visione in cui la donna ha piena cittadinanza. Ed una visione in  cui la donna è ancora la derivata della costola di Adamo.   Per questo credo che sbagli  chi liquida la vicenda con un sorriso o  affermando che “è una cosa delle donne” . E’ molto di più. E’ il modo in cui  intendiamo la nostra vita e la vita delle persone che ci circondano, che  siano madri, compagne, sorelle, figlie.  Per questo, più che per altri motivi, non possiamo non essere anche noi in  piazza o in qualsiasi altro luogo dove si difende il diritto ad essere  Cittadine.  Per questo non possiamo non esserci, lasciando a casa le nostre paure e  rivendicando anche noi un diverso “modo” di essere uomini.

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