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di Domenico Petrolo
In questi giorni che si avvicina la manifestazione di domenica, ho sentito pochissimi uomini parlarne, affermare con convinzione il loro desiderio di parteciparne. Un silenzio quasi assordante, come se la vicenda non riguardasse anche noi. Eppure non c‘è niente di più sbagliato. Nei decenni che sono trascorsi le donne hanno iniziato a combattere delle splendide battaglie per ribadire i propri diritti, ottenendo faticosamente grandi conquiste che ci sembrano scontate, ma che sono ben lontano dall’esserlo. Oggi continuano nella loro lotta , giorno dopo giorno, dalle periferie più sperdute del nostro Paese, dove bisogna “ammiccare” al capo di turno, alle nostre più alte istituzioni, come la Camera dei Deputati, che considerava fino a poche settimane fa la maternità come “una malattia”. Dare al mondo dei figli, contribuire alla rigenerazione del genere umano è considerato “una malattia”, niente di più assurdo. Forse perché colei che genera è una donna e non un uomo. Vanno avanti con una splendida tenacia giorno dopo giorno, perché ci vuole caparbietà e tempo. Perché non è facile cambiare un mondo che per millenni è stato governato, tranne rarissime eccezioni, da noi uomini. Eppure la rappresentazione di queste settimane non fa che riportare indietro le lancette dell’orologio. Una rappresentazione in cui il merito e soprattutto il diritto viene sostituito dalle “conoscenze”, intese come rapporti clientelari-preferenziali-sessuali, e dal concetto di “vendita”, inteso come “mettere a profitto” il più possibile la propria posizione, al di là di ogni principio di coerenza o di etica. Viene sdoganato oltre ogni pudore il concetto di vendita del proprio corpo. Con il contributo di genitori, fratelli e fidanzati che incitano a monetizzare il più possibile l’occasione che si presenta. Ma rappresentare questo come unico modello vincente e gratificante, non è forse limitare la libertà delle donne? Privarle del loro diritto di scegliere? E il nostro silenzio non è complice? Per questo penso che la posta in gioco sia più grande di quello che può sembrare. Non è semplicemente uno scontro tra una visione “edonistica e leggera” della vita ed un gruppo di donne “impegnate e arrabbiate”. E’ una contrapposizione fra due visioni del ruolo della donna e quindi della società. Una visione in cui la donna ha piena cittadinanza. Ed una visione in cui la donna è ancora la derivata della costola di Adamo. Per questo credo che sbagli chi liquida la vicenda con un sorriso o affermando che “è una cosa delle donne” . E’ molto di più. E’ il modo in cui intendiamo la nostra vita e la vita delle persone che ci circondano, che siano madri, compagne, sorelle, figlie. Per questo, più che per altri motivi, non possiamo non essere anche noi in piazza o in qualsiasi altro luogo dove si difende il diritto ad essere Cittadine. Per questo non possiamo non esserci, lasciando a casa le nostre paure e rivendicando anche noi un diverso “modo” di essere uomini.
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