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Articolo 21 - Editoriali
Il 13 Febbraio in piazza. Perche’ abbiamo bisogno di una nuova educazione sentimentale
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di Francesca Gruppi*

Cara Giulia,  parto dal tuo bell’articolo per riflettere sull’appello “Se non ora quando?”, con cui è stata indetta la manifestazione nazionale del 13 febbraio in difesa della dignità delle donne. Alle tue coetanee che si sentono aliene a questo tipo di mobilitazione, perché convinte che i problemi delle donne ‘siano ben altri’ ossia, se ho inteso correttamente, la parità di genere sul piano sociale e lavorativo, risponderei così: che da sempre la discriminazione delle donne in famiglia, sul lavoro, nei luoghi decisionali, si è retta su un ‘ordine simbolico’ ben preciso. Per quel poco che ne so io – che ho più o meno la tua età – il patriarcato, come ogni potere coriaceo e radicato, non ha vissuto solo nelle strutture della società, ma in primo luogo nell’immaginario delle donne e degli uomini. Per averne prova tangibile basti rivedere un documentario del 1979 che io – da neofita delle questioni di genere  – ho scoperto solo di recente: Processo per stupro di Loredana Dordi, nelle cui immagini appare chiaro quanto spesso la prigione più blindata per le donne si trovi nelle menti degli uomini, nel loro sguardo reificante, nel loro spirito gregario criminosamente complice o – ahimè – nel disprezzo di altre donne ostili. Ancora oggi, seppur scosso da terremoti e costretto a reinventarsi, il potere maschile sopravvive in entrambe le dimensioni: per usare un lessico antiquato, quella delle condizioni materiali e quella delle coscienze.

 

Una fittizia promessa di felicita’

Per questo credo che la manifestazione del 13 sia importante e parli non solo alle nostre madri ma anche a noi, purché sappiamo interpretare in maniera articolata il messaggio da trasmettere: non si tratta di esprimere la propria indignazione e affermare la propria diversità radicale rispetto al comportamento di quelle ‘altre’ che, colpevoli di non aver incamerato la lezione dei femminismi e dei movimenti di liberazione della donna, avrebbero barattato l’emancipazione con il mercimonio per un istante di celebrità. Né di utilizzare la giornata del 13 come imbuto collettore di un’indistinta rabbia – per carità, legittima – nei confronti di Berlusconi.

Secondo me occorre partecipare per segnalare che abbiamo capito l’inganno, che tante donne anche giovani sanno che quella promessa di felicità è fittizia. Che, senza emettere sentenze impietose nei confronti di coloro che hanno fatto della propria bellezza la scorciatoia per emergere, insinuiamo il dubbio – un dubbio senza invidia e senza superbia, difficile equilibrismo  – che quell’emersione possa essere inconsistente e breve quanto la luce del faretto che si accende una volta e poi mai più sul tuo bel volto pagato con un cachet miliardario in una qualche discoteca. Che tutto ciò fa parte di un modello di società che rifiutiamo, basato sull’effimero, sulla «cultura dell’avere, del consumo immediato»  – come scrive Manuela Cartosio in un bell’articolo sul Manifesto –, perché anche le donne hanno covato e oggi manifestano in tutta la sua virulenza l’«italica catastrofe antropologica». E ancora: che deve esistere per le donne come per gli uomini un diritto alla bruttezza, alla vecchiaia, alla grassezza, all’irregolarità. Che anche i sogni delle donne devono poter guadagnare gli spazi cosmici e uscire dalla ripetizione monotematica di due o tre tracce sempre uguali. La manifestazione del 13 divide le donne? Certo che le divide, grazie a Dio. Ma non perché erige barricate tra degne signore e male femmine. Semplicemente è sano cessare di considerarci come un blocco magmatico indifferenziato. Ci sono donne che scendono in piazza per una causa, donne che lo fanno per un’altra e donne che non lo fanno per niente. Così come esistono le lotte dei metalmeccanici, degli ambientalisti, degli studenti, dei precari e tanti uomini che non si scaldano per nulla. Occorre fare attenzione, perché in questa ricerca di una solidarietà, quasi un corporativismo di genere che inibisce la ‘critica interna’, si nasconde l’accettazione inconsapevole di uno sguardo maschile che ci vuole esemplari di Donna, sotto la superficie tutte uguali, egualmente inchiodate alle ancestrali leggi della natura e del corpo: orologi biologici che non si possono fermare, tempeste ormonali che ci gettano alla deriva, insana e selvaggia passione per le scarpe cui è vano chiederci di resistere.

 

In cerca di un’alternativa delle ammucchiate di Arcore (ma per carita’, non il perbenismo!)

Men che meno dobbiamo scendere in piazza il 13 per contrapporre al tourbillon di tette e culi berlusconiano una qualche forma di ‘perbenismo di ritorno’ o rinserramento in un’anacronistica famiglia tradizionale. Quale modello alternativo di comportamento proponiamo alla pornografia kitch dal sapore amaramente anni ’80 (e come potrebbe essere altrimenti?) delle ammucchiate di Arcore? È qui che entrano in gioco gli uomini e, trovo, il fatto che nell’appello del 13 ci sia un invito esplicito a loro non è scontato né banale. Anzi, l’invito andrebbe accolto e rilanciato: agli uomini spetta non solo il compito di «dimostrare amicizia verso le donne» – come è scritto nell’appello con una formula secondo me felice, perché ‘amicizia’, più che ‘solidarietà, sostegno, appoggio’, è la relazione tra i due generi difficile e sempre sbeffeggiata fino alla presunzione di inesistenza, che racchiude in sé il potenziale straordinario in grado di creare un sodalizio senza rimuovere le differenze. Per gli uomini è altresì l’occasione per cominciare a domandarsi se davvero si sentono a proprio agio nel misero orizzonte sessuale e relazionale cui il trantran erotico dell’Olgettina rimanda, se non sia ora anche per loro di gettarsi di dosso un pesante mantello fatto di imperativi prestazionali, divieti emotivi e distorsione dello sguardo sull’altro, per prendersi cura della creatura nascosta sotto. I desideri sono qualcosa di così fisico e incontenibile che non si può non considerarli in sé innocenti, ma ciò non significa che non vadano problematizzati, che non ci si debba domandare da dove arrivino – perché non sempre germinano davvero dentro di noi – e se il ‘l’alchimista’ ci abbia fatto un favore o un danno.

 

La sinistra dovrebbe promuovere una nuovca educazione sentimentale

Perciò, perché credo che alcune cose non si possano dare per scontate, non mi trovo d’accordo con Concita De Gregorio (Le altre donne: http://concita.blog.unita.it/le-altre-donne-1.266857) su un punto fondamentale: quando si domanda dove siano state le donne durante tutto questo tempo, riproponendo ancora una volta una logica distorta in cui si chiede di tener desta un’istanza solo a chi la vive sulla propria pelle e mai a chi avrebbe il potere contrattuale di farla valere laddove vengono prese le decisioni. Si tende sempre a dimenticare che il grande assente da tante battaglie sacrosante degli ultimi anni è stata la politica istituzionale, che non ha saputo farsi mediatrice di rivendicazioni provenienti dalla società civile; la sinistra che ha digerito l’egemonia sottoculturale berlusconiana – di cui il machismo, come non si stanca di ripetere Nichi Vendola, è un ingrediente fondamentale – come un destino fatale, un orizzonte in cui vivere con spirito adattivo malgrado tutto, con buona pace di Antonio Gramsci. Dunque se è vero che il problema non è Lui, l’Innominabile, non siamo neanche propriamente noi, ma piuttosto un’opposizione che da tempo ha scelto di abdicare al compito di costruire un’alternativa culturale al berlusconismo in cui anche le donne potessero riconoscersi e sentirsi a casa, e i desideri fossero oggetto di tematizzazione politica.

Anche per dire tutto ciò ha senso andare il 13, nonostante i limiti dell’appello e le comprensibili perplessità correttamente interpretate da voci autorevoli (Dominjanni, Il diritto e il rovescio di una mobilitazione: http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/ricerca-nel-manifesto/vedi/nocache/1/numero/20110204/pagina/03/pezzo/296520/?tx_manigiornale_pi1[showStringa]=ida%2Bdominijanni&cHash=2e79155dbf69569a206fee8cbf23d4c6). Perché quello, seppur goffo, incerto, parziale, sia il primo vagito di una domanda forte rivolta alla politica, affinché non solo si faccia carico della piena attuazione dei diritti delle donne, ma cessi – se lo fa – di occuparsi delle donne solo strumentalmente in funzione antiberlusconiana e, al contrario, trovi l’ardimento di studiare strumentalmente il ‘caso Berlusconi’ in funzione di una società liberata e di una nuova educazione sentimentale.

* http://www.molecoleonline.it/

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